Palermo, Ucciardone colabrodo: telefonini in cella, 5 condanne

Palermo, Ucciardone colabrodo: telefonini, droga e condanne

Micro cellulari lanciati dentro le patate. Una guardia complice. E dalla cella c'era chi gestiva gli affari

PALERMO – Il carcere Ucciardone di Palermo era un colabrodo. Ai detenuti arrivavano i telefonini e qualcuno addirittura li usava per gestire i traffici di droga. Cinque imputati sono stati condannati dal giudice per l’udienza preliminare Marco Gaeta che ha accolto le richieste del procuratore aggiunto Sergio Demontis e del sostituto Andrea Fusco.

I condannati e le pene

Giuseppe Scafidi, agente della polizia penitenziaria, ha avuto tre anni; Fabrizio Tre Re 8 anni, Rosario Di Fiore 6 anni, Teresa Altieri 4 anni; James Burgio 2 anni. Hanno scelto il rito abbreviato. Erano tutti imputati per corruzione, il solo Tre Re anche per droga. Rinviati a giudizio e saranno giudicati in ordinario Franco Caiolo, Maurizio Di Bella e Nicola Spinnato.

La soffiata e il blitz

Il blitz del Nucleo della polizia penitenziaria dell’ottobre 2020 partì da una soffiata. Fino a pochi giorni prima, e cioè quando non era ancora entrata in vigore una nuova legge, chi veniva be con un telefonino in carcere al massimo scontava qualche giorno di isolamento. Adesso esiste l’articolo 391 ter del codice penale, che punisce l’introduzione e l’utilizzo in carcere di tali dispositivi di comunicazione.

E così all’Ucciardone si è era creato un mercato. Chi aveva un telefonino diventava potente e chiedeva soldi per consentire ad altri di usarlo. Le Sim venivano intestate a soggetti extracomunitari che si prestavano al gioco sporco per pochi euro.

Telefonini lanciati dentro le patate

I micro telefoni, grandi non più di quattro dita, venivano lanciati dall’esterno del vecchio penitenziario dopo averli inseriti dentro le patata per evitare che si rompessero. Poi durante l’ora d’aria qualcuno li recuperava e li consegnava a un altro detenuto, un cosiddetto “spesino” così chiamato perché porta il cibo nelle celle.

Durante il lockdown per fronteggiare la prima ondata Covid l’ingresso di alimenti dall’esterno era stato stoppato. A quel Fabrizio Tre Re avrebbe corrotto Scafidi, la cui fama era ormai nota in carcere.

“Pronto…”, dalla cella gestivano l’affare della droga

Il 13 luglio 2020 un detenuto raccontava alla moglie: “Ci sono le guardie corrotte, paghi la guardia e ti entra qualsiasi cosa”. A pagare Scafidi per i suoi servigi con 500 euro sarebbe stata Teresa Altieri, moglie di Tre Re. Lo stesso Scafidi, una volta scoperto, confessò: “Sono stato contattato da un mio conoscente Rosario Di Fiore abitante a Pallavicino il quale mi ha detto che era venuto a conoscenza della mia disponibilità ad entrare dei telefonini in carcere”.

La sera del 25 agosto Tre Re, che ha una condanna in appello per l’omicidio di Andrea Cusimano fra le bancarelle del Capo (Leggi: “Il film del delitto”) accese il telefono e compose il numero di James Burgio, con cui aveva condiviso un periodo di detenzione: “Cinque chili vuole?”, chiedeva Tre Re. “No, cinque panetti, oppure dieci, mezzo chilo un chilo, se il prezzo è buono me la fai trovare a quattro gliene faccio prendere tre chili tutti con i soldi in mano”.

Secondo l’accusa, stava organizzato una compravendita di droga. La Procura decise di riempire di telecamere il vecchio carcere.


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