Mafia: Saitta, Calderone e la scalata di Nitto Santapaola - Live Sicilia

Mafia: Saitta, Calderone e la scalata di Nitto Santapaola

La confisca del tesoro del padrino ha riportato indietro le lancette dell'orologio. A quando è nata la famiglia catanese di Cosa nostra.

CATANIA – Una pagina di storia rimasta nel silenzio per decenni. La faccia sporca di una città nascosta anche dagli uomini dello Stato. Che hanno negato l’esistenza della mafia a Catania anche davanti alle lucide analisi del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa nell’intervista a Giorgio Bocca. Le parole del prefetto di Catania Francesco Abatelli fanno ancora male. Tanto male. 

‘La mafia è roba palermitana’. Questo dicevano i massimi vertici delle Istituzioni catanesi negli anni Ottanta. Anni in cui non c’era alcuna timidezza a stringere le mani al rappresentante della famiglia catanese di Cosa nostra Nitto Santapaola. A farsi fotografare con lui durante cene e inaugurazioni. Non importava se si ricoprissero ruoli politici o amministrativi. Un giorno poi si giustificheranno con l’alibi dell’ignoranza. Nessuno sapeva. O forse si preferiva non sapere. 

L’inchiesta Samael che pochi giorni fa ha portato alla confisca del tesoro nascosto dell’ultimo padrino di Catania ha riportato indietro le lancette dell’orologio. Perché quei soldi sporchi – secondo la ricostruzione del Ros e della Dda etnea – risalgono alle attività illecite di Nitto Santapaola e dei vertici della Cupola a partire dagli anni 70. Ma Cosa nostra ha messo radici alle falde dell’Etna molto prima. 

Era il 1925. A Catania arrivarono da Palermo i Tagliavia che volevano fare quattrini con le bische clandestine. Ma per fare affari, i palermitani avevano bisogno dei catanesi. E quindi si fecero alcuni battesimi mafiosi. Diventarono uomini d’onore personaggi come Giuseppe Indelicato e Agatino Florio. Il catanese Antonino Saitta – già pungiuto e ‘accreditato’ al tavolo mafioso di Palermo –  all’epoca era in carcere, ma appena mise i piedi fuori dalla cella divenne il primo Rappresentante della famiglia di Cosa nostra a Catania. Del boss si perderanno le tracce. Un periodo passato in Tunisia. Scomparso per lupara bianca. Al suo posto al vertice gli subentrerà un altro Saitta, Luigi. Una linea di sangue che si ricompone alcune decenni dopo – gli anni ’60 – con Giuseppe Calderone, il nipote dei Saitta. 

Ma in questo salto temporale, c’è un passaggio da non trascurare. E cioè gli anni 50. Un’epoca che rimanda alla prima tensione intestina a Cosa nostra catanese per la scelta del ‘capo supremo’. Frizioni che porteranno al trono Vincenzo Palermo, vecchio mafioso con un solo braccio. Il suo autista era Salvatore Santapaola, fratello di Nitto, già all’epoca uomo d’onore. 

Chi poteva immaginare che quel cognome alla fine avrebbe scalato l’organigramma della famiglia mafiosa. E nonostante i tanti tentativi, non avrebbe più lasciato lo scettro. 

Un anno fondamentale nella narrazione della storia criminale di Catania è il 1962. Giuseppe Calderone, chiamato Pippo ‘cannarozzo d’argento’ per il problema alle corde vocali, era già uomo d’onore e aveva il ruolo di consigliere (assieme a Francesco Indelicato e Agatino Florio, detto Tino ‘u vappu). Il rappresentante della famiglia era Orazio Nicotra, il vice rappresentante era Salvatore Torrisi, il rappresentante provinciale Giuseppe Indelicato, il vice rappresentante provinciale era Salvatore Ferrera (‘u cavadduzzu). Un cognome fondamentale nell’organigramma futuro della cosca. Parente dei Santapaola. Parente degli Ercolano. Tutti e tre sposeranno tre sorelle D’Emanuele. L’origine di una stirpe. I Ferrera in quel periodo erano i veri potenti (a livello criminale).  

Nel 1962 viene ‘fatto’ uomo d’onore Antonino Calderone, il fratello di Pippo, che diventerà anni dopo il Buscetta catanese. È lui che ha permesso di smantellare quel muro invisibile e far aprire gli occhi alla verità: Cosa nostra era (anche) roba catanese. In quella stessa cerimonia vennero fatti altri 8 uomini d’onore: tra questi Nitto Santapaola, il fratello Natale, il cugino Francesco Ferrera, Natale Ercolano (fratello di Pippo), Giuseppe Russo, Pippo Ferlito. Quest’ultimo era lo zio di Alfio Ferlito, un nome che sarà cruciale nelle dinamiche mafiose di qualche tempo dopo.

Nitto Santapaola, da semplice soldato di Cosa nostra, entra nelle grazie di Giuseppe Calderone. Tanto che pochi anni dopo (tra il 1966 e il 1967) lo nomina capo decina al posto di due vecchi mafiosi. In quello stesso periodo vengono ‘pungiuti’ Francesco Ferrera, Francesco Mangion, Salvatore Marchese e Mimmo Condorelli. 

Negli anni ’70 Benedetto Santapaola metteva in campo una strategia – Nino Calderone la definiva ‘strategia corleonese’ –  che lo portò ad allearsi con Totò Riina. Che lo ‘decretò’ capo di Catania. A Palermo e a Catania, Cosa nostra viveva storie parallele con l’epilogo di un vero e proprio ‘golpe’ mafioso. 

Catania all’inizio del 1970 era una fucina di criminali: rapinatori, contrabbandieri, ladri. Ci sono anche i primi gambizzati, le prime sparatorie, le pistolettate. Un clima che avrebbe fatto storcere il muso a Nitto Santapaola che ha deciso rispondere a quei ‘malandrini’. Così è partita una guerra. Una guerra impari. Perché Cosa nostra catanese contava solo 35 uomini d’onore. Dall’altra parte invece c’era un esercito. L’esercito dei ‘Cursoti’. Allora per rinforzare le file sono fatti uomini d’onore cinque personaggi ‘famosi’ per la capacità e la facilità di usare le armi. Tra questi Alfio Ferlito, Salvatore Lanzafame, Salvatore Pillera (Turi Cachiti). Alcuni di questi diventeranno i più fidati di Giuseppe Calderone. Pippo ‘cannarozzo d’argento non era molto favorevole alla faida contro i Cursoti. Ma ormai era in ballo. E doveva ballare. È in questo lasso temporale che sono accaduti avvenimenti che creeranno un vuoto attorno a Pippo Calderone. Che a un certo punto si troverà (quasi) solo. La sua squadra di ‘fidati’ non lo ha mai abbandonato. 

La tensione è così alta a Catania che nel 1977, durante una riunione nella villa del principe Vanni Calvello, Michele Greco sciolse la famiglia di Catania e la commissariò. Il ‘papa’ nominò tre reggenti: Giuseppe Calderone, Nitto Santapaola, Tino Florio detto ‘u vappu. L’anno dopo, l’8 settembre 1979, Pippo ‘cannarozzo d’argento’ è stato ammazzato in un agguato ad Aci Castello. In macchina con lui, Salvatore Lanzafame che è rimasto ferito. 

L’omicidio di Giuseppe Calderone ha cambiato totalmente l’organigramma della famiglia di Cosa nostra catanese. Nitto Santapaola è diventato rappresentante della Famiglia, il suo vice  Francesco Mangion ‘Ciuzzu u firraru, Salvatore Ferrera, rappresentante provinciale, Orazio Nicotra, vice rappresentante provinciale. Nel ruolo di consiglieri altri uomini di peso dello scacchiere mafioso Carletto Campanella, Pasquale Condorelli e un posto vacante per Franco Romeo (all’epoca detenuto). L’imprenditore Romeo è ammazzato qualche anno dopo. Nella sua casa saranno trovate quelle foto che diventano il manifesto della ‘borghesia mafiosa’ di Catania.

Da quel momento Nitto Santapaola ha cominciato una doppia strategia: militare con i nemici criminali, tra cui i fidati di Pippo Calderone, e diplomatica con i pezzi dell’imprenditoria e delle Istituzioni catanesi. 

In questi anni il padrino catanese ha creato il suo impero criminale. Sullo sfondo stragi e omicidi eccellenti. La sparatoria al viale Delle Olimpiadi del 6 giugno 1981 ha lasciato tracce indelebili. Ancor di più la strage di via dell’Iris del 26 aprile 1982. Alcuni mesi dopo è ammazzato Alfio Ferlito a Palermo.

Nitto Santapaola si muoveva indisturbato tra le strade di Catania. Aveva forza e carisma per sedere a tavola con politici e imprenditori. Poi, dopo il mandato di cattura per l’omicidio del prefetto Dalla Chiesa, diventò un fantasma. Fino alla sua cattura nel 1993. Poi è cominciata una nuova storia di Cosa nostra catanese. Ma l’eco di Nitto Santapaola è ancora udibile. Fino ad oggi. E infatti ci sono ancora inchieste con inciso il suo nome. 


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