Palermo, mafia: dal summit in gommone alla stangata

Palermo, mafia: dal summit in barca alla stangata NOMI-PENE

Tra i condannati Giulio Caporrimo e il suo braccio destro Nunzio Serio, i boss del bacio in bocca

PALERMO – Sette mesi di libertà, fra febbraio e settembre 2017. Sette mesi in cui Giulio Caporrimo era tornato a guidare il mandamento di San Lorenzo, a Palermo, e per i quali è stato ora condannato a 16 anni e 4 mesi di carcere. Assieme a lui il giudice per l’udienza preliminare Cristina Sala ha giudicato colpevoli tutti gli altri imputati.

Tutte le pene

Questi i nomi e le pene: Vincenzo Billeci 10 ani e 8 mesi, Francesco Di Noto 4 anni e 10 mesi, Francesco Paolo Liga 8 anni e 2 mesi, Nunzio Serio 20 anni (in continuazione con una precedente condanna), Vincenzo Taormina 12 anni e 4 mesi, Giuseppe Enea 7 anni.

Dovranno risarcire le parti civili: Associazione Antonino Caponnetto, Centro Studi Pio La Toorre, Sos Impresa Sicinduistria, Confesercenti, Federazione antiracket, Solidaria.

Furono tutti arrestati all’inizio dell’estate 2020. L’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, coordinata dal procuratore Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Salvatore De Luca e dal sostituto Amelia Luise, fotografò la reggenza di Caporrimo nel 2017. Il boss, prima dell’ultimo blitz, era tornato di nuovo libero nel 2019.

Il bacio in bocca

Il bacio in bocca fra Giulio Caporrimo e Nunzio Serio

Al suo fianco c’era Nunzio Serio. I due qualche anno fa erano stati immortalati mentre si baciavano sulla bocca in segno di rispetto. Tutti attendevano la scarcerazione dei due boss. definiti “cento carati”. Parecchi malumori aveva suscitato la reggenza di Francesco Paolo Liga (figlio dello storico boss Salvatore, detto “u Tatenuddu”), poi affiancato, a partire dalla sua scarcerazione avvenuta nell’ottobre 2015, da Giuseppe Biondino (figlio di Salvatore, l’autista di Totò Riina), arrestato di nuovo nel gennaio 2018.

Gommone e pizzo

Per evitare di essere intercettati Caporrimo e Serio che si davano appuntamento in gommone al largo delle coste palermitane. L’inchiesta fece emergere sette vicende estorsive, consumate o tentate, di cui due denunciate spontaneamente dalle vittime. Non c’è stato bisogno di convocarli, come avviene spesso. I boss di San Lorenzo non incassavano solo il pizzo, ma decidevano pure chi dovesse lavorare nei cantieri


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