Palermo 2022, Cascio in campo: "Se unisco, ci sarò" - Live Sicilia

Palermo 2022, Cascio in campo: “Se unisco, ci sarò”

L'ex presidente dell'Ars a tutto campo

PALERMO – “Sì, lo voglio”, vuole esserci per #Palermo2022. Più, assai più che una generica messa in rango in omaggio alla coalizione di appartenenza, la decisione da parte di Francesco Cascio di rompere il silenzio pregno di aspettative circa la sua candidatura alla successione di Orlando. Consapevole per primo che dentro il centrodestra i candidati di bandiera, e di “posizione”, verranno ben presto a uno a uno depennati, e che quindi “il cerchio si stringe”, come egli stesso dice, Cascio coniuga ancora al condizionale, e tuttavia alla formula di rito “io ci sono” aggiunge quella di logica politica: “Se unisco, ci sarò, se sarò divisivo farò non uno ma due passi indietro”. Il convitato di pietra al tavolo arrembato dalla ressa di candidati come un buffet di nozze senza sposo, si riprende dopo lunga assenza le tre dimensioni della politica: parola, proposte, legittima ambizione. La scena, dunque.

Dottore, presidente “emerito” dell’Ars, candidato sindaco. Come la chiamiamo?
“Francesco va bene”.

E come la mettiamo con le elezioni di primavera? Il suo nome è ormai sulla bocca di tutti.
“Lo so, e il primo sentimento è di meraviglia, di stupore in positivo. Provo un’intima gioia nel vedere che la politica si ricorda ancora di me dopo che ne sono stato fuori per cinque anni, considerate le amarezze che si sono frattanto susseguite. Significa il riconoscimento che forse qualcosa di buono ho lasciato, malgrado pure il modo con il quale ho interrotto”.

Forse lei non è mai sparito del tutto, pare far notizia anche quando probabilmente non ce n’è, tipo il medico Cascio, già enfant prodige della politica siciliana, che effettua le vaccinazioni nell’Asp dove lavora. A proposito di amarezze, dalle vicende giudiziarie che lo hanno visto coinvolto in passato, è uscito bene.
“Certo. Ma un conto è superare le amarezze formalmente ed esistenzialmente, altro è la sfera intima di ciascuno di noi. Lì quel retrogusto rimane a lungo”.

Diciamolo subito: l’ultima inchiesta di Trapani su presunte commistioni politico-massoniche, per quanto la riguarda stralciata, turba la sua nuova serenità politica?
“No, per nulla. E alla parola ormai di rito ‘serenità’ preferisco ‘fiducia’. Io ne ho, non solo nel mio lavoro ma in quello di tutti coloro che lavorano con coscienza nelle istituzioni. I giudici, in questo caso. Stare cinque anni fermo, aspettando che le amarezze facessero il loro corso, mi ha insegnato tanto, a cominciare dall’opportunità di crescere professionalmente come medico. Non ho nulla da temere né che possa turbare la vita, anche politica, che verrà”.

Torniamo alla politica.
“Due mesi fa dissi a un suo collega che ero decisamente fuori, pur avendo incontrato diversi esponenti politici di altrettanto diversi partiti. Ma se nella mia parte politica io potessi veramente essere elemento di sintesi, di superamento delle schermaglie di nomi, sono disponibile a candidarmi. Il cerchio si va stringendo sempre più, inutile negare che il mio nome circola e resiste fra quelli possibili; la mia condizione, innanzitutto con me stesso, è che quel nome non divida ma unisca”.

Difficile parlare di unità in un momento nel quale ciascun partito, o quasi, del centrodestra pare arroccato nella propria trincea imbandierata. Questa sintesi a che punto è?
“Se mi dovessi accorgere, una volta candidato, che esiste ancora divisione, mi tirerei fuori da me. Chiaramente, più le elezioni si approssimano e più si infittiscono gli incontri fra partiti ed esponenti, e all’interno delle singole forze. Ogni passo avanti significa l’eliminazione di una possibilità, di un nome. Non partecipo a vertici e riunioni, non essendo attualmente parte attiva, tuttavia non è difficile percepire che io sono fra quelli ancora in piedi”.

Un candidato di bandiera e non solo di bandiera, lei auspica: non si può negare che dentro il “suo” partito, nella Forza Italia profonda, in molti sono con lei.
“Non posso dire di esserne stupito. Pur essendo… diversamente giovane, fui tra i fondatori di Forza Italia, che in Sicilia porta il nome storico di Gianfranco Miccichè ma anche di Schifani, Prestigiacomo, La Loggia. E pure di Cascio”.

C’era anche Scoma, in quel periodo. Il candidato sindaco per la Lega ha affermato dche nel caso non ce la facesse personalmente, metterebbe a sua disposizione tutta la propria portata elettorale.
“Ho letto, sì. Francesco Scoma ha legato il suo nome a quegli anni e alle nostre origini, anche se adesso milita altrove”.


Una ressa soltanto apparente, dicevamo, e di posizione. Chiariamo, allora: il nome dell’ipotetico sindaco eletto di centrodestra cosa cambierebbe in prospettiva regionale? Cosa cambierebbe Cascio sindaco rispetto alle investiture per Palazzo dei Normanni e Palazzo d’Orléans?
“Ovviamente il partito che dovesse portare il proprio candidato a Palazzo delle Aquile, si assumerebbe gli onori della primogenitura, fermo restando che un sindaco di centrodestra sarebbe innanzitutto patrimonio della coalizione. Ma sarebbe semplicistico dimenticare che nelle amministrative locali, sebbene Palermo sia una grande città, conta moltissimo il fattore umano, la benevolenza e la conoscenza della gente. Non basta il mero calcolo politico, come ha dimostrato l’ultima tornata romana. Un candidato ‘giusto’ può cambiare le carte in tavola. E i numeri. Deve essere uno che sta bene nell’area di coalizione e sia gradito ai cittadini. Attenzione, la tattica pura è uno sbaglio: non siamo alle politiche, che vedono la prevalenza di liste e leadership”.


Dalla sua aurora politica a oggi, la distanza politica dalla prima primavera orlandiana si è divaricata in modo netto. Lei in quella prima stagione di cambiamento c’era. Oggi cosa pensa dell’orlandismo al tramonto?
“L’orlandismo della preistoria, il primo Orlando, hanno segnato il volto della città, e questo nessuno potrà mai revocarlo in dubbio. Altra cosa oggi: il sindaco è stanco, demotivato, lascia una città in stato di abbandono, come se Palermo brancoli da tempo senza guida politica. Ma ciò che lascia più perplessi, è la sensazione di assuefazione all’immobilità che si respira in giro per la città, a ogni livello. Sarebbe assurdo, per ipotesi, che questa assuefazione prenda coscienza di sé improvvisamente e prenda di mira il successore di Orlando, per colmo di rabbia repressa. Ciascuno deve assumersi la responsabilità dei propri fallimenti”.

Fallimento, più che una parola. Il sindaco cerca di salvare il salvabile, pressando per il pre-dissesto mentre in seno alla stessa macchina comunale il dissesto pare ormai vissuto come realtà. Come la vede e come la vedrebbe, da sindaco?
“Io voglio il dissesto. Stiamo vivendo un’agonia senza fine, va messo un punto e ripartire da zero. Capisco che Orlando resista al fallimento, che sarebbe il fallimento della sua stessa esperienza, ma quello è ormai certificato e conclamato”.

Ma dove avrebbe sbagliato davvero Orlando?
“Ha scelto di essere un monarca incontrastato, incapace di delegare, anzi accentrando tutto, ma proprio tutto. La mia impostazione è, e in quella carica sarebbe, radicalmente opposta”.

Come immagina la sua giunta?
“Intanto, assolutamente e schiettamente politica, i tecnici devono essere lasciati nella serenità di svolgere il proprio lavoro. E poi non accentrerei per fede alcuna decisione dalla quale possa dipendere il funzionamento dei servizi, sia per quanto riguarda la loro gestione, sia nelle scelte strategiche di fondo”.

Scelte come quelle sulla mobilità, per esempio? La “guerra civica” sulla tratta A del tram ha portato alla nemesi da tempo covata in consiglio comunale. L’ultima giunta di centrodestra aveva puntato su ben altro, i collegamenti metropolitani sotterranei della Mal. Riannoderebbe questo filo?
“Ci proverei, ma senza il desiderio di dimostrare che Orlando ha avuto torto. Propongo semplicemente un cambio di metodo: confronto con ordini professionali, tecnici, associazioni, cittadini, per capire cosa serve alla città. Se fosse chiaro che il tram non funziona, torneremmo con coraggio ad altre soluzioni; in caso contrario, no. Virare si può, anzi si deve, se ci si rende conto che si sta sbagliando. Ma in fondo è un cambio culturale sui servizi che io ho a cuore…”.

Cioè?
“Cioè: la gestione pubblica dei servizi non è un intoccabile totem. Se le buche possono essere riempite e i rami potati esternalizzando il servizio, perché no? Coinvolgere i privati attivando correttamente meccanismi di bando pubblico, è vita per una città”.

Su Rap il dibattito è stato feroce, alla fine i privati sono rimasti fuori. E se si privatizzano i servizi accessori, cosa andranno a fare molti ex precari stabilizzati nelle partecipate comunali create ad hoc?
“Quei precari sono intanto frutto delle politiche di Orlando negli anni. Io sono per privatizzare tutto ciò che convenga privatizzare alla luce di servizi ottimali, senza ideologiche ossessioni ma caso per caso. Farei anche altri esempi: io faccio sport quotidianamente, gli impianti abbandonati come il Palasport, il Diamante, sono uno spettacolo indecoroso. Ma parlo pure della piscina comunale. Perché non intraprendere un processo serio di coinvolgimento dei privati? Non c’è mai stato, non seriamente”.


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