"Palermo e gli anni della rottura, vi racconto chi è Orlando" - Live Sicilia

“Palermo e gli anni della rottura, vi racconto chi è Orlando”

Pietro Folena, ex segretario regionale del Pci, riavvolge il nastro della memoria e torna sulle primavere di Palermo e Catania

PALERMO – L’era Orlando giunge al termine dopo trent’anni. A sinistra è tempo di bilanci. La “spinta propulsiva” delle primavere di Palermo e Catania è terminata e le forze della sinistra che nel frattempo hanno cambiato pelle raccolgono i cocci. Non è certo un mistero che i personaggi istrionici e carismatici spesso hanno fatto ombra alle nuove generazioni e alle formazioni politiche, un effetto collaterale dell’elezione diretta dei sindaci e del combinato disposto dell’incapacità dei partiti di rinnovarsi e dei leader di pensare in termini collettivi. Pietro Folena, ex segretario regionale del Pci, che fu uno dei grandi artefici di quelle stagioni ripercorre le tappe fondamentali di quella cesura netta che cambiò il volto della politica italiana.

“Non ho nessun rimpianto politico”

“Non ho la sufficiente contezza sulla quotidianità amministrativa di tutto l’ultimo lungo periodo per dare un giudizio. Sono lontano da Palermo da tanti anni, ma senza dubbio posso fare una considerazione sul ciclo”, spiega Folena. Ha qualche rimpianto? “Non ho nessun rimpianto politico credo sia stato giusto nel periodo di sconvolgimenti più importante del secondo dopoguerra italiano, cioè dal 1989 al 1994, sostenere e creare le condizioni di una rottura politica che ha trovato in Leoluca Orlando il suo simbolo: in una fase in cui la politica italiana non era così personalizzata come adesso, ma era dominata dai partiti e della loro correnti soprattutto la Dc e il Psi. Orlando fu un antesignano della personalizzazione della politica. Credo sia stato positivo per la Sicilia e per la sinistra avviare quel percorso”. Al netto di diversi incidenti di percorso, insomma, c’è un patrimonio da preservare.

“Il populismo? Colpa dei vecchi partiti che non si sono rinnovati”

“Ci sono stati degli errori in quel percorso e delle illusioni. A volte anche un eccesso di moralismo e giustizialismo però bisogna contestualizzare tutto nell’epoca storica: il procuratore era molto vicino agli ambienti più collusi con la Mafia e Falcone era isolato, insomma era un contesto in cui la sfiducia nei confronti delle istituzioni non poteva essere come quella che si è sviluppata negli anni successivi quando una parte della magistratura e della polizia ha guidato con grande energia un’azione”. Il pensiero corre alle trasformazioni profonde che hanno mutato il corredo genetico della sinistra. E la domanda sorge spontanea. “Qui si annidano i germi di un giustizialismo che non era nel dna della sinistra?”. Folena risponde ricordando l’importanza del contesto di riferimento. “Penso di sì. Ma all’origine del populismo c’è stato un fallimento morale dei vecchi partiti che proprio perché non si erano saputi innovare hanno imboccato anche strade di questo tipo. Torniamo alla Sicilia. Guardiamo al contesto di partenza: l’unica possibilità per la sinistra di contare qualcosa era il consociativismo cioè il Pci pur stando all’opposizione si contrattava delle scelte e contenuti, poi con la primavera di Palermo e di Catania nel 1989 e l’ingresso nelle giunte dei primi assessori comunisti in una terra in cui c’era stata una forte difficoltà in termini dialettici e anche in termini di alternanza normale perché tutto era stato fortemente condizionato da un blocco politico mafioso che impediva ogni cambiamento”. “Poi c’è la legge sull’elezione diretta dei sindaci che fa saltare equilibri consolidati di potere radicati nel tessuto siciliano. Avviene un cambiamento profondissimo e molto importante che parte dalla Sicilia”, rivendica l’ex dirigente comunista.

La crisi dei partiti della sinistra

Eppure, a rimanere schiacciati da queste trasformazioni sono proprio i partiti della sinistra. Come lo stesso Folena ammette. E ne spiega le cause. “C’è stata l’incapacità della sinistra di rinnovarsi e aprirsi alle istanze civile e sociali e il fatto che fosse un ceto politico abbastanza separato ha reso queste forze a tendenze che a quel punto si sono via via accentuate. Il fallimento è nella mancata rifondazione dell’agire della sinistra nella società. Questo è il dato negativo che si è accentuato negli anni finché le stesse forze della sinistra hanno imboccato una strada di fortissima personalizzazione, un grandissimo errore”, argomenta. L’ex dirigente del Pds non risparmia critiche al Pd. “Si è deciso di seguire un modello fondamentalmente di tipo americano: leggero, leggerissimo soltanto elettorale, ma non capace di stare vicino alla gente come facevano i grandi partiti popolari nati dalla Resistenza”. Insomma nella fusione a freddo degli eredi del Pci e della sinistra Dc qualcosa sembra non avere funzionato. “Il Pd ha messo insieme i difetti dei democristiani e quelli dei comunisti anziché fare come fa Papa Francesco a mettere insieme i valori umanitari del cristianesimo sociale e di sinistra e l’esigenza di cambiamento della società che erano propri delle forze della sinistra: purtroppo è diventato un partito di potere, un partito assuefatto”, dice Folena.

Palermo: la sinistra riparta dai programmi

“La vicenda di Orlando non può essere inscritta semplicemente ai canoni del populismo, ha avuto diverse stagioni, poi è entrato nel Pd. A Palermo la capacità vera dovrebbe essere di riuscire a cogliere il buono che è cresciuto in questi anni ad esempio in campo culturale”, continua. Poi dà un consiglio a chi in questi giorni lavora per costruire una proposta politica in città. “A Palermo c’è un grosso fermento culturale pur rimanendo gravemente presenti i problemi sociali e urbanistici che si conoscono. Bisogna aprire una nuova stagione, non so dire come. Per non tornare a una forma di marginalizzazione politica di Palermo perché un aspetto positivo dell’amministrazione di Orlando è di avere consentito a Palermo di ritagliarsi uno spazio importante a livello nazionale e internazionale in questi anni”, spiega. E agli attori in campo dice. “La sfida è nelle loro mani se sono capaci di evitare la lotta per dire è Tizio, Caio o Sempronio l’erede o la partita è perduta. Serve una rivoluzione copernicana: servono contenuti e una partecipazione vera”, raccomanda Folena. 


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