“Figlio mio, stai bene?”. E lui, questo soldato russo senza nome, affamato, visibilmente scosso, si è messo a piangere, mentre parlava, in silenzio, con le lacrime, con la sua mamma, grazie al telefonino tenuto in mano da una ragazza ucraina: il nemico. Questa storia che arriva dal fronte, dalla crudeltà di una guerra, dal gelo e dal ghiaccio che coprono le vittime civili, apre un caldo spiraglio di umanità.
E’ stata raccontata dai social e confermata dai corrispondenti di guerra. E’ la storia di un milite ignoto, con l’uniforme degli invasori, e di un popolo invaso che, dopo la sua cattura, lo rifocilla, lo circonda con attenzione, più che con risentimento, e gli permette di palare con sua madre. Un voce rassicura chi ascolta dall’altra parte: “Natasha, non temere, tuo figlio è vivo e vegeto”. Poi ci sono carezze, come per confortare e dire: qui sei tra amici.
Cadono le bombe a Kiev. Muoiono i grandi, muoiono i bambini. Cadono le trincee della nostra umanità sotto i colpi dell’inumano. Ma anche nella guerra dei corpi carbonizzati e delle piccole anime che aspettano dentro un orfanotrofio ci sono lacrime che resistono sotto la bandiera di tutti.