"Il coraggio, la forza e l'amarezza del mio amico Giovanni Falcone"

“Il coraggio, la forza e l’amarezza del mio amico Giovanni Falcone”

Intervista a Giuseppe Ayala. Quegli anni terribili. Orlando, le accuse e la solitudine del magistrato ucciso a Capaci
23 MAGGIO 1992
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5 min di lettura

Il dottore Giuseppe Ayala viene ad aprire il cancello della sua casa immersa nel verde, un’oasi di pace in mezzo alla città. Il tempo ha smesso di essere un nemico, qualcosa che morde, che c’è soltanto per strapparti gli affetti più cari, mentre tu devi andare avanti. E’ una mattina di sole, Palermo mostra il suo volto più suggestivo e seducente. Il pm del maxi-processo, l’amico di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, il magistrato e politico dal curriculum enciclopedico, non si comporta da reduce, con il cuore esclusivamente rivolto al passato. Bisogna, appunto, andare avanti, mettere in fila i giorni.

C’è un mondo da condividere con chi ti sta accanto, con i figli, con i nipoti, con una dolcissima canuzza che lecca le mani a tutti. Ma il cuore di chi ha combattuto contro la mafia, sia pure alieno alla trappola della retorica, non sarà mai uguale a quello di un altro. Perché il lutto della separazione, le minacce brutali della paura, nonostante il coraggio, il sentirsi precari di questo minuto e il prossimo non si sa come sarà, sono ferite che penetrano fino all’osso di un’anima. E anche se, con la benedizione di un tempo di pace, sono diventate cicatrici, fanno ormai parte di te.

Se Giovanni non fosse morto

“Vivo sentimenti molto forti – dice il dottore Ayala – come è normale che sia. Penso alle cose come sono andate e come avrebbero potuto essere diverse. Se non fosse successo quello che, purtroppo, è successo, Giovanni avrebbe avuto degli incarichi sempre più importanti, del resto era già direttore degli Affari penali grazie alla meritata fiducia che in lui riponeva il ministro Martelli. No, non credo che sarebbe passato alla politica. Giovanni ha inventato il metodo Falcone, ha compiuto delle imprese strabilianti, con una visione innovativa del contrasto alla mafia che ha dato splendidi risultati, dopo tanti fallimenti. Lui rimane il più grande protagonista delle vittorie dello Stato e avrebbe continuato su quel sentiero”.

Erano anni terribili. Qualcuno scriveva lettere e le inviava alle redazioni dei giornali per lamentarsi delle scorte e del rumore molesto che producevano. Una parte della città tifava per lo sforzo generoso dei magistrati del pool, un’altra osservava la partita, scommettendo sul risultato e non è detto che fossero puntate sui buoni. Alcuni, nell’epicentro di certa antimafia, criticarono ferocemente Falcone o, comunque, espressero delle riserve, come la storia racconta attraverso corposi e accessibili documenti. E’ rimasta famosa una frase di Leoluca Orlando sulle ‘prove (dei delitti eccellenti, ndr) chiuse nei cassetti’. Di recente il sindaco di Palermo è tornato su quell’episodio: “Direi le stesse cose, ma con un tono diverso. Ribadirei oggi, come allora, quelle affermazioni sulle ‘prove nei cassetti’ riguardo ai rapporti tra mafia e politica, la mia era una denuncia politica, non giudiziaria”.

Il dolore di Falcone, Sciascia e la polemica

“Ricordo benissimo il dolore di Giovanni Falcone e come visse quelle vicende – dice il dottore Ayala -. Provava un senso profondissimo di amarezza per l’ingiustizia subita, perché non può esserci niente di peggio di accuse che non hanno alcune ragione di esistere. Certi attacchi erano proprio ingiusti, infondati, folli, ma lui fu costretto a difendersi lo stesso. Il mio amico Giovanni era uno tosto, uno duro, contro le avversità. Uno per cui la parola ‘uomo’ va scritta in maiuscolo. Aveva una grande forza interiore, eppure quell’amarezza fu davvero cocente”.

E altre vicende note di quella immensa e tragica storia di speranza salgono alla memoria. La mancata promozione di Falcone a consigliere istruttore, dopo il commiato di Nino Caponnetto. Un ambiente di lavoro che potremmo definire, eufemisticamente, non semplice. “Sa cosa ho sempre creduto? – dice Ayala -. Si avvicinavano le elezioni per il Csm e i criteri di avanzamento di carriera erano l’anzianità e il non demerito. Capisce? Non il merito, il non demerito. La promozione di Falcone, con sedici anni di anzianità in meno di Meli, avrebbe rappresentato una rottura delle logiche del sistema, un precedente pericoloso. Credo che una valutazione del genere, davanti alla platea elettorale per il Csm, ebbe un grandissimo peso. E fu una irripetibile occasione persa. Sì, ricordo anche, e come potrei dimenticarlo, il celebre articolo di Sciascia sui professionisti dell’antimafia. Condividevo integralmente il principio, ma non gli esempi, almeno per quanto riguardava Paolo Borsellino. Anche i grandi uomini, e Sciascia lo era, possono commettere uno sbaglio. Noi palermitani, sul filo dell’ironia, diremmo: ‘fici una minchiata’”.

Caro Giovanni…

Nel tempo di pace dopo tanta guerra, ora, le ombre si addensano. La rarefazione della tenerezza conquistata viene seguita da altre memorie crudeli. Il dottore Ayala quasi sussurra: “Giovanni Falcone si sentiva solo e lo era. Pure Paolo Borsellino, per certi aspetti, lo era, ma era stato nominato procuratore di Marsala, stava in una zona meglio protetta, un po’ più lontana. Quello che ha subito Giovanni, a Palermo, è stato innominabile. Davvero, la sua solitudine era clamorosa. Cosa penso della verità sulle stragi? Se aveva ragione Giovanni, quando, dopo il mancato attentato all’Addaura, parlò di menti raffinatissime e centri occulti di potere in grado di orientare le scelte di Cosa nostra, è lecito ritenere che gli eventi del ‘92 offrano lo stesso scenario. E non mi pare che quelle menti e quei centri siano ancora venuti fuori”.

C’è ancora qualche minuto per una battuta sulla polemica sollevata per il rapporto tra politica e condannati per mafia: “Gli illuministi dicevano che ogni popolo ha il governo che si merita. Io non guardo le candidature, conterò i voti”. E poi…

E poi chiediamo al dottore Giuseppe Ayala di dire qualcosa al suo amico, il dottore Giovanni Falcone, in un breve video che pubblichiamo a parte, in occasione del recente compleanno condiviso, come se potessero parlarsi e ascoltarsi. E lui la dice: “Io me lo sento sempre vicino, Giovanni mi ha cambiato la vita due volte, quando è arrivato e quando se n’è andato. Mi manca da morire”. Adesso, gli occhi di un uomo, nella casa dei sogni e della felicità, si accendono di lacrime.

IL VIDEO: CARO GIOVANNI


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