30 Dicembre 2014, 09:05
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PALERMO – A Brancaccio comandano sempre i Graviano. Nonostante siano seppelliti da anni al 41 bis in qualche modo riescono a dare mandato a chi è fuori per garantire la continuità con il passato. Fino al loro arresto questo delicato compito sarebbe stato affidato a Cesare Lupo e Nino Sacco. Il pentito Antonino Zarcone racconta che avevano un ruolo paritario nella reggenza” perché erano “sulla linea dei Graviano, rappresentano i Graviano”.
Il collaboratore di giustizia di Bagheria ha deposto al processo d’appello che vede imputate diciannove persone del clan che domina sulla parte orientale di Palermo. Zarcone conosce i segreti del clan indirettamente perché glieli avrebbe raccontati il suo amico Salvatore Lauricella, imputato in un altro processo che, a dire del dichiarante, avrebbe pure rischiato la vita. Sacco era pronto a farlo fuori. Si era convinto, ha ricostruito Zarcone, che avesse aiutato in qualche modo i Lo Nigro di corso dei Mille con cui non correva buon sangue. E così Sacco “convocò Lauricella e lo rimproverò di brutto”. Ad un certo punto nella cosca di Brancaccio passò la linea dura degli uomini di Sacco.
“Imprevedibile”, “intransigente”, Lauricella non avrebbe risparmiato aggettivi per definire l’operato di Sacco: “Mi diceva che c’erano lamentele – racconta Zarcone – tante persone venivano bastonate, perché Sacco faceva pulizia”.
E anche sul fronte del pizzo le regole erano ferree a Brancaccio. Lo sa bene Zarcone che ha raccontato le disavventure dell’imprenditore Spera che “aveva una attività commerciale, una trattoria con sala banchetti. Per le estorsioni era nelle mani di Daniele Lauria (considerato un pezzo grosso di Palermo Centro ndr) e aveva difficoltà con quelli di Brancaccio: era in crisi, non ce la faceva a pagare ma Sacco glielo imponeva lo stesso e lo costringeva anche ad avere le forniture che diceva lui”.
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30 Dicembre 2014, 09:05