A Catania la crisi non si placa |Chiuse oltre 2000 imprese

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02 Dicembre 2014, 19:11

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CATANIA – Meridione e Sicilia: la crisi non si arresta, anzi. L’indagine sull’artigianato e la piccola impresa, condotta dall’osservatorio regionale, mette nero su bianco un dato incontrovertibile: la crisi non si placa e morde soprattutto nel Sud Italia. I dati presi in esame nascono dal confronto tra i primi tre trimestri del 2013 e del 2014. Uscire dalla recessione è un’impresa non semplice per un’economia che perde terreno. Tra i settori in ginocchio ci sono il primario, il manifatturiero, i servizi, l’artigianato e il turismo (che pure tira un respiro di sollievo in alcune regioni). “Un dato emerge in tutta la sua drammaticità: la crisi italiana è la crisi del Mezzogiorno”. La desertificazione colpisce in primo luogo l’ambito demografico: per il secondo anno consecutivo i decessi superano le nascite. Se cresce la povertà relativa, attestata al 23,5% (il doppio rispetto a cinque anni fa), calano invece gli investimenti industriali (meno 53%) gli addetti (meno 20%). I dati relativi all’occupazione nel meridione d’Italia riportano indietro le lancette al 1977: 5.898.700. Sono 16.521,000 gli occupati che vivono nelle regioni del Centro Nord e ben 478.000 i posti di lavoro andati perduti nel 2013.

L’area in cui sono maggiormente concentrati i licenziamenti è, neanche a dirlo, il Mezzogiorno con una percentuale impressionante: l’ottanta per cento del totale. Al Sud il Pil è diminuito del 3,5% (nel resto d’Italia la riduzione, invece, è stata dell’1,4%). “Tra il 2008 e il primo semestre 2014 le Partite Iva che al Sud hanno chiuso battenti sono state 160mila, in tutto il paese le chiusure sono state 348mila (Sud -9.9%, Nord Est -7,8%, Nord Ovest -4,3%, Centro -1,3%)”. Inoltre, le famiglie monoreddito raggiungono cifre enormi: il 57% al Sud, il 48% al Centro- Nord. Il 24,9% delle famiglie “il cui reddito principale deriva da un lavoro autonomo (artigiani, commercianti, liberi professionisti, soci di cooperative) è in difficoltà, poiché vive con un reddito annuo disponibile inferiore a 9.500 euro”.

All’interno di un quadro sicuramente poco incoraggiante, la situazione della Sicilia appare decisamente preoccupante. Nell’isola i decessi nel 2013 hanno superato le nascite, un fenomeno che non si vedeva dal Tale fenomeno si era visto soltanto nel 1867 e nel 1918. Del resto il 41,1% delle famiglie è a rischio povertà, il 14,1% guadagna meno di 1.000 euro al mese e il 16,4% ha un disoccupato in casa. In Sicilia un laureato su tre è senza lavoro, solo una donna su cinque ha un’occupazione e il Pil pro capite è pari a euro 16.152 (nel Centro Nord, invece, è pari ad euro 29.837). I dati relativi a nascite-mortalità delle imprese, registrate nelle Camere di commercio, continuano a evidenziare saldi negativi: dall’inizio del 2014 al 30 settembre, sul piano nazionale, la totalità delle imprese registra un saldo attivo pari a +27.665 aziende. Lo stesso trend si registra a livello regionale (+1.934 aziende). Diverso è l’ambito provinciale: a Catania il saldo è negativo, pari a meno 538 imprese.

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Il settore che preoccupa di più è l’artigianato che colleziona un saldo negativo a livello nazionale, regionale e provinciale (-421). Nello specifico dall’inizio della crisi al 30 settembre 2014 hanno abbassato le saracinesche in Italia 107.743 imprese artigiane, in Sicilia 8.791, a Catania 2.567. Le aziende in questione, però, non sempre escono dal mercato ma esercitano abusivamente andando a foraggiare il fenomeno del sommerso che, si stima, produrrà non poche conseguenze “per chi opera nella legalità e rispetta i contratti di lavoro, per l’erario e per le casse comunali”. “Per quanto riguarda le attività economiche, esaminando l’andamento dei macrosettori, questi evidenziano nazionalmente, da gennaio a settembre 2014, una situazione preoccupante (sia per quello che riguarda la totalità delle imprese, sia per quello che riguarda l’artigianato), nelle costruzioni, nel manifatturiero, nei trasporti e nei servizi alle persone. Saldi attivi invece si rilevano nel commercio, nei servizi di supporto alle imprese e servizi di informazione e comunicazione”. “L’andamento dei settori nell’artigianato in provincia di Catania registra saldi negativi in tutti i macrosettori, ad eccezione dei servizi alle imprese che chiudono i tre trimestri con un saldo attivo pari a + 5 imprese”. Ad attanagliare la città etnea, secondo l’indagine dell’Osservatorio regionale, ci sono il persistere di problemi occupazionali, “il calo di produzione, fatturato, ordini, la difficoltà a fare impresa e un clima di sfiducia nella possibilità di una ripresa significativa nella prima parte del 2015”. L’Osservatorio si è inoltre cimentato in un’altra analisi che verte sul confronto tra il terzo trimestre dell’anno in corso e quello passato in termini di fatturato ( -16% nel 2014, -15% nel 2013), la produzione (-14,6% contro il -14,00% del 2013), ordini ( -16,5% nel 2014, -16,3% lo scorso anno).

Il campione preso in esame è costituito da 120 imprese operanti a Catania (60%) e nel resto della regione (40%). Le aziende operano nei settori delle costruzioni, dell’informatica, del manifatturiero e dei servizi per imprese e persone (trenta), moda, accessori e trasporti (quindici). Il 69% del campione ritiene l’esistenza di “un rischio criminalità nel fare impresa”, la burocrazia (40%) l’ostacolo principale da superare e le detrazioni per la casa (ristrutturazioni e risparmio energetico) la migliore misura contenuta nella legge di stabilità ai fini della crescita (lo dice il 34% degli interpellati). Le percentuali sulle aspettative per il nuovo anno parlano chiaramente di sfiducia diffusa: per quasi la metà degli intervistati il primo semestre del 2015 vedrà un peggioramento della situazione complessiva. Il confronto con l’anno precedente, invece, vede leggermente diminuire la percentuale di chi sostiene di non avere effettuato licenziamenti (67% contro il 74% dell’anno scorso), ma anche un aumento di chi dichiara di avere chiesto un prestito senza ottenerlo (82,3% contro il 79%).

Il risultato complessivo che emerge dai dati presi in esame è un dualismo territoriale tra il nord e il sud del paese difficilmente sanabile, dice l’Osservatorio, dal Jobs Act. Un provvedimento considerato “importante strutturalmente per aumentare la produttività del lavoro”, ma efficace solo “nel medio-lungo periodo”. “Ne consegue che, per affrontare l’emergenza che si fa sempre più grave, occorre che, in un Paese duale come il nostro, un intervento nazionale non abbia lo stesso effetto in una regione come il Veneto o la Lombardia o in un’altra quale la Sicilia o la Calabria”. Tra le proposte di intervento per sanare le disparità ci sono investimenti massicci nelle scuole e nelle Università meridionali e nelle infrastrutture e nella logistica e incentivi per semplificare e ridurre gli adempimenti e l’incidenza del fisco. A livello regionale, invece, la strada maestra indicata dall’Osservatorio è quella di sottrarre risorse alla spesa improduttiva da reindirizzare verso attività produttive che creano occupazione intercettando fondi europei. C’è poi il capitolo “turismo”. Lieve ripresa a parte, il patrimonio va curato e reso fruibile anche nei giorni festivi, un volano per rilanciare tutto l’indotto. I Comuni non possono restare a guardare. Agli enti in questione si richiede di adottare almeno due una misure indispensabile: sbloccare i lavori pubblici “incagliati nelle maglie della burocrazia” e combattere l’abusivismo per consentire alle imprese che pagano le tasse di non abbassare le saracinesche.

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02 Dicembre 2014, 19:11

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