26 Maggio 2016, 06:00
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PALERMO – Si sono dati il cambio, sul pulpito di Sala d’Ercole, da dove hanno dissertato sull’importanza dello Statuto e dell’autonomia siciliana. Parole forti e alte, col cipiglio del padre costituente. Alla fine, si sono salutati e si sono dati appuntamento al 7 giugno. Sì, viva l’autonomia e viva il parlamento siciliano. Ma senza esagerare: “Ci vediamo tra tredici giorni”. Tutti a casa, a lavorare alle prossime elezioni amministrative. Che certo è importante lo Statuto, ma intanto c’è da piazzare sindaci e consiglieri comunali.
Ma l’autonomia va difesa. E lo Statuto speciale pure, ci mancherebbe. Nonostante un altro “colpo” alla “carta costituzionale siciliana” possa giungere nei prossimi mesi dalla riforma Boschi che potrebbe portare a una ridefinizione delle competenze tra Stato e Regione. E da Roma, la tentezione di ridurre al minimo l’autonomia siciliana oggi pare fortissima.
Le norme dettate da Roma
Eppure, anche tra gli esponenti degli partiti (Pd in testa) che lavorano per uno Stato più centralista, più “padrone”, due giorni fa è giunta una difesa accorata. E in un certo senso imbarazzante. Se si pensa, ad esempio, che pochissime settimane fa, l’ultima versione della cosiddetta “riforma delle Province” esitata dall’Ars altro non è stata se non la ricopiatura in bella della legge Delrio. Cioè della legge nazionale.
Autonomisti sì, ma non autonomi. Perché a guardar bene, in questa legislatura non si ricorda una sola legge importante che fosse stata approvata così come era stata pensata dal governo e dal parlamento siciliano. Tutto cassato da Roma: dai rifiuti all’acqua, passando per gli appalti e per le pieghe di alcune finanziarie dove Palazzo Chigi ha deciso di impugnare norme sui precari, sull’Ecotassa, sulla Ztl.
Di fronte a queste impugnative, è bene ricordarlo, il governo “autonomista” di Crocetta non ha mai voluto fare opposizione dinanzi alla Corte costituzionale. Ha incassato e – al termine di polemiche più o meno lunghe – fatto tutto quello che Roma ha ordinato di fare. E il parlamento si è limitato a ratificare tutto. E più volte. Un impegno costato ai siciliani, tra indennità dei deputati, stipendi dei dipendenti, consulenti, pensionati e spese varie, qualcosa come 143 milioni in un anno.
L’addio ai contenziosi
A che serve allora lo Statuto e l’autonomia? Del resto, al di là di afflati sicilianisti, vai a guardare i fatti e scopri che si è andati in tutt’altra direzione. Basti pensare, ad esempio, all’accordo firmato due anni fa da Crocetta con lo Stato, con la rinuncia all’esito dei contenziosi di fronte alla Consulta, in cambio di 500 milioni utili a chiudere un disastrato bilancio. Una scelta che – sentenze alla mano – rischia di costare alla Sicilia miliardi di euro. E una grossa fetta di autonomia, appunto.
L’economia commissariata
Autonomia, del resto, non rivendicata nemmeno nella politica economica di questo governo. Quelle scelte, infatti, sono state messe nelle mani di un assessore che – a torto o a ragione – è stato scelto dal governo Renzi. Un “commissariamento” di fatto, a vedere le cose per come stanno veramente. Roma “controlla” i passi della Sicilia dal punto di vista delle spese e delle riforme sul personale. Nemmeno una grossa novità, visto che già uno dei predecessori di Alessandro Baccei, cioè Luca Bianchi era arrivato dritto dalla Capitale.
A scandire il ritmo delle riforme di una Sicilia che sembra da tempo svolgere il compitino più facile: adeguarsi alle decisioni altrui. Un “controllo” che somiglia a quello svolto in questi anni dall’Europa sugli Stati meno affidabili, Italia compresa.
I soldi a Comuni e precari? Solo se Roma dice “sì”
E del resto, a rafforzare l’idea sull’inutilità di governo e Ars, ecco i fatti di cronaca più recenti. Mezza Sicilia infatti è nel caos: Comuni, province, precari, enti regionali, riserve naturali, enti per il diritto allo studio, teatri, da un po’ non ricevono più un euro a causa del cosiddetto “congelamento” del mezzo miliardo in Finanziaria. Soldi che si sbloccheranno solo se e quando lo Stato darà il suo ok alle “buone intenzioni” espresse da governo e parlamento siciliani. Come dire: “Ecco le caramelle, ma solo se farete i bravi”. Non a caso, la norma in Finanziaria che prevedeva l’eventuale – e non ancora avvenuto – sblocco da Roma dei 500 milioni, per volere apertamente espresso all’Ars dall’assessore Baccei, è stata votata solo alla fine della legge di stabilità. Dopo, cioè, che l’Ars ha dato il proprio assenso a una serie di tagli e interventi “lacrime e sangue”.
La riforma dei decreti attuativi dello Statuto
Ma quei soldi, come detto, non ci sono ancora. E né il goveno regionale è riuscito a farsi sentire a Roma, chiedendo lo sblocco anche, magari, per ragioni di “ordine pubblico”, né dai deputati è giunta una particolare forma di protesta. Nonostante i toni elevati della seduta che celebrava lo Statuto. E invece, mentre i parlamentari regionali giocavano a fare i padri (ri)costituenti di una Sicilia ormai all’asfissia, a Roma si decideva come modificare i decreti attuativi dello Statuto, per rendere “strutturali” le entrate che – tanto per essere chiari – alla Sicilia spetterebbero di diritto. Tutto senza informare il parlamento stesso.
La riforma Boschi e la tentazione centralista
Ma dopo i decreti attuativi, rischia di essere il turno dello Statuto. La riforma Boschi, infatti, per le regioni “speciali” ha previsto una “finestra” entro la quale Stato e Regioni dovranno ridiscutere la distribuzione delle competenze tra enti locali e governo centrale. E da Roma non fanno mistero della volontà di accentrare alcune funzioni fondamentali come quelle relative, ad esempio, all’energia (ovvero concessioni di impianti fotovoltaici o eolici oltre allo spinoso tema dei rifiuti) o del Turismo, che il governo Renzi immagine di gestire con una sorta di piattaforma a scala nazionale. Senza contare che la riforma Boschi, ha trasformato in “competenze esclusive” alcune funzioni che nell’Isola non vengono espressamente indicate dallo Statuto. È il caso ad esempio della Formazione professionale, il cui ordinamento generale, le cui scelte potrebbero passare di mano, da Palermo a Roma. E la Sicilia? Starà a guardare. Ricordandosi ogni anno di festeggiare la propria inutilità travestita da Autonomia.
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26 Maggio 2016, 06:00