13 Novembre 2009, 07:41
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Ero rimasto solo sul treno, in una sera primaverile, almeno così credevo. E mi scuso per l’uso del primo pronome personale che mai dovrebbe entrare in una cronaca. Il fatto è, però, che su quel treno c’ero proprio io, nessun altro (credevo), e aspettavo la mia stazione. Nella penombra dei sedili di fondo c’erano due ombre. Sbirciai per curiosità. Erano due ragazzi. Il primo aveva una barbetta francescana. Il secondo era diafano, pallidissimo. Il primo baciò il secondo, un bacio leggero sulle labbra. Pensavano di essere soli. Non mi avevano visto. Mi sentii improvvisamente trascinato su un pianeta sconosciuto, dentro una visione ignota fino ad allora. Tutte le mie idee sulla tolleranza, sul rispetto della normale diversità altrui, tutto messo alla prova dei fatti. E se mi fosse saltato in mente di chiamare il capotreno al grido di: “Che vergogna!”? Non accadde. Ancora ricordo il leggero trasalimento. Non era un sentimento negativo. Era lievissimo stupore. La scena non mi disturbava. Le modalità del bacio erano castissime. Mi comunicavano una sorta di lunare tenerezza. Non sono un guardone, grazie a Dio. Distolsi gli occhi. I due ragazzi però si accorsero di me. Quello diafano si accese di improvviso rossore.
Abbiamo pubblicato su livesicilia la storia del bacio gay al Birimbao con relative reazioni. Come al solito – quando si discute di temi caldi succede – è stato impossibile confrontarsi davvero. Il dialogo si è impoverito in un lancio di bombe a mano dalle rispettive trincee. Io ho voluto solo raccontare questa storia.
Ci sono baci che talvolta non comprendiamo, che ci soprendono o che (non fu quella la situazione del treno) ci indignano. Quando capita, abbiamo due strade davanti. Possiamo chiamare il capotreno, o il buttafuori. Oppure, possiamo ricordare che la tolleranza e il rispetto sono virtù difficili. Esercizi spirituali che, sempre, ci rendono migliori.
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13 Novembre 2009, 07:41