13 Aprile 2015, 16:57
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PALERMO – La buona notizia è che al momento la carreggiata in direzione Palermo non ha subìto danni. La cattiva è che non si sa ancora se fra qualche settimana sarà ancora così, e che comunque, anche nella più ottimistica delle ipotesi, la primavera si concluderà prima che l’autostrada Palermo-Catania possa essere parzialmente riaperta. Mentre il presidente della Regione Rosario Crocetta è in volo con l’assessore e il direttore generale delle Infrastrutture, Giovanni Pizzo e Fulvio Bellomo, per incontrare a Roma il numero uno dell’Anas Pietro Ciucci – presente al vertice nonostante le dimissioni annunciate in giornata – e fare il punto sul cedimento del viadotto Himera, a Palermo i tecnici della Regione e dell’azienda delle autostrade stanno lavorando per mettere a punto il primo dei progetti che nei prossimi giorni dovranno vedere la luce: smontare pezzo a pezzo il pilone collassato e i 160 metri di autostrada che questo reggeva e poi verificare la tenuta del resto della strada. Nel tentativo, al momento abbastanza lontano nel tempo, di riunificare le Due Sicilie.
Il regno delle Due Sicilie
Questa è la prima certezza: est e ovest dell’Isola, Palermo e Catania, rimarranno senza un collegamento autostradale diretto per almeno tre mesi. “Il punto – spiega Bellomo – è capire fino a che punto si sia spinta la frana. Ci auguriamo che non abbia intaccato l’altro pilone. Finora pare di no”. Il problema, però, è che nel frattempo la carreggiata in direzione Catania si è “appoggiata” sull’altra, e quindi la demolizione sarà una fase molto delicata, appunto per evitare di peggiorare la situazione: tre mesi è la stima minima, ma quasi tutti si dicono certi che si andrà oltre. “La verità – ammette il numero uno dell’Anas in Sicilia, Salvatore Tonti – è che fino a quando non sarà pronto il progetto di demolizione non potremo fare una stima, neanche a spanne, dei tempi”. Di più: la riunificazione provvisoria delle Due Sicilie, la riapertura di una carreggiata sulla quale fare viaggiare le auto in entrambe le direzioni, è al momento “solo un’ipotesi di lavoro”, dicono all’Anas. Si vedrà.
Binario vivo
Quello che già si vede, invece, è il treno. Perché, se non altro, chi deve andare a Catania può abbozzare su rotaia. Da stamattina, infatti, Rete Ferroviaria Italiana ha attivato due collegamenti “veloci” al giorno in entrambe le direzioni: treni “leggeri” che dovrebbero poter coprire la tratta in due ore e 40 minuti, ma che al momento sugli orari ufficiali Trenitalia prevedono un viaggio di tre ore. “La Regione – specifica Bellomo – è in fase di rinnovo del contratto di servizio con Trenitalia. Da giugno sulla tratta Palermo-Catania saranno attive sette coppie di treni”. Cioè, tradotto dal “trasportese”, sette volte al giorno un convoglio lascerà la stazione centrale di Palermo in direzione Catania e altrettante volte all’ombra dell’Etna accadrà l’operazione inversa.
D’altro canto, il dossier Ferrovie è una pratica calda da anni, in assessorato. Nel 2013, l’allora assessore Nino Bartolotta aveva presentato fianco a fianco con Rfi un mega-progetto di velocizzazione della tratta: sul tavolo, fra le altre opzioni, anche un tunnel fra Raddusa, in provincia di Catania, e Fiumetorto, nel Palermitano. Adesso quel progetto è stato abbandonato: “Quell’idea – chiarisce il direttore dell’assessorato – sarebbe stata troppo invasiva. Si è preferito potenziare la linea storica, portando i tempi di percorrenza a due ore e trenta minuti”. Il progetto – anch’esso legato al rinnovo del contratto di servizio Regione-Trenitalia – è uno di quelli che il Documento di economia e finanza del governo Renzi ha salvato dai tagli alle Grandi opere, attribuendogli un finanziamento da 739 milioni. Sorte diversa toccherà alla Catania-Lentini-Ragusa, che invece da quell’elenco è finito fuori. Anche se alla Regione sono scettici: “Noi – giurano in assessorato – crediamo che quell’opera sia stata solo differita. È un project financing già in stato avanzato, si rischiano penali”. E di soldi da sprecare, al momento, non ce n’è.
Chi paga il conto
Anche perché, al momento, non si capisce ancora chi pagherà il conto del cedimento di venerdì. All’Anas glissano: “Per ora la priorità è aprire l’autostrada, poi si vedrà”. L’argomento, però, è chiaramente sul tavolo della discussione, visto che la ricostruzione del viadotto sarà un’opera molto costosa. O meglio: non tanto la ricostruzione del viadotto quanto le opere di contorno, quelle che servono per impedire che fra sei mesi o sei anni il problema si ripresenti. “Ricostruire il pilone e le quattro campate non avrà costi enormi – garantisce Tonti – anche perché stiamo parlando di 160 metri di viadotto. Poi, però, bisognerà realizzare alcune opere di presidio della frana. Quelle potrebbero far lievitare di molto lo sforzo economico”. Una stima dei tempi e dei costi, anche stavolta, non c’è: “Se ne riparla la prossima settimana”, tagliano corto all’azienda delle autostrade. Quando sarà più chiaro tutto: anche il nome dell’ente che dovrà staccare l’assegno. Questo, però, è un problema da affrontare in futuro. Nel presente c’è il tentativo di riunificare le Due Sicilie. Aggrappandosi a una speranza: la benevolenza di un’autostrada che non deve cedere ancora.
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13 Aprile 2015, 16:57