13 Aprile 2011, 19:46
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(dell’inviato Matteo Guidelli-ANSA). “Ci avevano detto che saremmo partiti in cinquanta, poi ne hanno fatti salire più di duecento. E questo è il risultato. Fortunatamente sono riuscito a salvare tre bambini”. Sugli scogli neri di Pantelleria, i profughi hanno i volti spaventati. Guardano il mare in cui due di loro, due donne, sono morte quando il barcone su cui viaggiavano, partito cinque giorni fa dalla Libia, si è arenato, schiantandosi.
E’ uno di loro a raccontare l’ennesima tragedia frutto delle disperazione, del disinteresse e della mancanza di scrupoli dei trafficanti di esseri umani. L’uomo dice di venire dalla Repubblica democratica del Congo e di esser partito da Tripoli assieme ad un gruppo di una cinquantina di suoi connazionali. Ma quando è stato il momento di prendere il largo, sul barcone sono saliti anche nigeriani, ghanesi, liberiani e due pakistani. “Io sono un meccanico – afferma – sono stato studente a Perugia e poi sono tornato nel mio paese. Ma lì non c’era lavoro e così sono andato in Libia”. “Ho lavorato con una ditta italiana. Poi – prosegue – é successo quello che è successo e così, assieme a mia moglie, abbiamo deciso di venire via”.
La trafila è, purtroppo, sempre la stessa: ricerca del contatto, mesi in capannoni sulla spiaggia una volta trovato, in attesa della partenza, poi via all’improvviso, spesso di notte. Su barconi stipati all’inverosimile. Come quello che stamattina si è schiantato sugli scogli. “Quello che ci ha caricati è un pezzo grosso dello stato libico. Quando noi abbiamo protestato lui ha detto che era tutto a posto e ci ha fatto salire, dicendoci che saremmo stati solo in cinquanta. Ma poi ne sono arrivati altri e siamo diventati più di duecento”. Cosa è successo il profugo non lo racconta, ma é convinto che molta della responsabilità del naugragio sia dello scafisca, che probabilmente poco prima di entrare in porto si è confuso con i profughi, abbandonando il timone dell’imbarcazione. “C’era quello che guidava, è uno che si chiama ‘Nigeria’ e non voleva far arrivare la gente, l’Italia lo deve arrestare” racconta.
Ma come mai siete rimasti in mare per così tanto tempo? “Il primo giorno – dice il naufrago – abbiamo avuto un problema al motore. C’era qualcosa che non andava al tubo della nafta. Abbiamo provato a ripararlo con una modifica e siamo ripartiti. Per tre giorni abbiamo navigato con il mare calmo, poi ieri sera ha cominciato ad agitarsi”. La navigazione è proseguita comunque senza problemi apparenti fino a Pantelleria. All’entrata del porto, però, la barca ha scartato improvvisamente di lato e si è andata a schiantare contro gli scogli. “Ieri sera abbiamo visto la polizia, sapevamo di essere in pericolo. Ed è finita così”.
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13 Aprile 2011, 19:46