03 Novembre 2018, 06:05
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PALERMO – La Procura della Repubblica vuole processare dirigenti regionali e comunali, e i responsabili della “Punta Levante srl” per gli illeciti commessi nella realizzazione del “Cala Levante Sea lounge club’ sul lungomare Cristoforo Colombo, all’Addaura.
Il pubblico ministero Francesco Gualtieri ha firmato la richiesta di rinvio a giudizio per Giovanni Arnone, dirigente generale del dipartimento regionale dell’Ambiente, Andrea Schirò, responsabile del procedimento e dirigente dello sportello unico per le attività produttive del Comune di Palermo, Salvatore Grassedonio, pure lui dipendente comunale e responsabile del procedimento, Bohuslav Basile, altro dirigente del Suap, Luca Insalaco, dipendente presso l’assessorato regionale al Territorio e legale rappresentante dell’associazione sportiva “Okeanos”, Lucietta Accordino, dirigente del settore urbanistica ed edilizia del Comune di Palermo, Marco Misseri, amministratore unico della società “Punta Levante srl”.
Contestualmente la Procura chiede l’archiviazione per Maria Mandalà e Giovanni Carlo Galvano, che si sono succeduti nell’incarico di dirigente dello Sportello unico delle attività produttive del Comune, ed anche per Giovanni Paternò, legale rappresentante della “punta Levante”. Nel loro comportamento si potrebbe al massimo ravvisare negligenza, ma non una volontà dolosa.
I funzionari pubblici sono indagati per abuso d’ufficio, mentre i gestori del locale per reati ambientali e per avere eseguito opere in assenza di autorizzazione. L’inchiesta è quella che nel 2016 portò al sequestro del locale per difformità urbanistico-edilizie e mancato rispetto delle norme di tutela del paesaggio e dei vincoli ambientali della scogliera dell’Addaura. Secondo gli investigatori, il sistema autorizzativo era illegittimo: dapprima l’area demaniale fu concessa alla società sportiva Okeanos (di cui Insalaco era socio) per realizzarvi uno stabilimento balneare; a sua volta la Okeanos affidò la gestione dello stabilimento alla “Punta Levante” che vi impiantò un’attività di ristorazione violando il divieto del Comune e aggirando le limitazioni della Soprintendenza regionale ai Beni culturali e architettonici. Nell’area, sottoposta a vincoli paesaggistici, furono realizzati alcuni manufatti entro il limite di inedificabilità fissato a 150 metri dal mare. L’anno precedente, nel 2015, un’altra inchiesta era stata archiviata, ma riguardava ipotesi di reato più limitate.
L’udienza preliminare per decidere se mandare o meno sotto processo gli indagati si svolgerà il 7 febbraio 2019 davanti al giudice Filippo Serio.
La nota di replica di Luca Insalaco: “Non posso che assistere in questo momento attonito all’ennesima vessazione processuale determinata da paradossali mancanze di efficienza e sinergia delle amministrazioni coinvolte fuorviate da esposti dichiarati già in passato infondati. In tal senso si rappresenta che già da anni si è vittime di maldestri tentativi finalizzati all’unico scopo di frustrare la libera e legale iniziativa economica che pur dovrebbe essere tutelata dalla costituzione ed in particolare dall’art.41. Si sono, pertanto, subiti più volte inutili processi che si sono conclusi, ovviamente, con le più ampie formule assolutorie.
Non ultima per importanza una sentenza con la quale il sottoscritto è stato assolto dall’accusa di non avere ottemperato ad una ordinanza comunale che in realtà era stata dichiarata illeggittima dal TAR per la protratta inerzia del Comune di Palermo che non provvedeva ad emanare il relativo regolamento.
Non posso altresì non ricordare un precedente procedimento, concluso con una archiviazione, in cui veniva contestata la cementificazione del sito e l’assenza di alcune autorizzazioni, invece, concesse. Oggi, invece, risulto indagato per non avere decementificato il sito e perchè le stesse autorizzazioni sembrerebbero invece il risultato di un abuso di ufficio.
Il tutto frutto di un evidente schizofrenia amministrativa che ha fuorviato altresì l’ Autorità processuale e il tutto a seguito dell’ iniziativa di comitati di residenti locali le cui segnalazioni sono state già precedentemente dichiarate infondate.
Con il presente comunicato si intende quindi rappresentare un solo sentimento: la profonda disillusione di un imprenditore che è stato privato della speranza di potere svolgere impresa in un territorio che si assumeva libero e democratico.
Non rimane pertanto, che scoraggiare tutti coloro i quali volessero intraprendere iniziative similari in quanto potrebbero essere le future vittime delle pastoie burocratiche e rimanere paralizzati nell’ ambito del pantano amministrativo.
Paradossale infine -seppure enigmatico ed paradigmatico di tutta questa vicenda- la circostanza che allo scrivente è contestato altresì il reato di disastro ambientale per avere trasformato un luogo abbandonato in una struttura fruibile al pubblico, amena, come potrebbero testimoniare le migliaia di palermitani e di turisti e che per effetto di un sequestro che dura da più di due anni e ritornato ad essere quello che era prima dell’ intervento ovverosia una discarica a cielo aperto”.
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03 Novembre 2018, 06:05