29 Maggio 2017, 17:51
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ACIREALE – L’inchiesta milanese Security ha riportato i riflettori sulla “mala” di Acireale. In particolare sugli affari dei Laudani che sarebbero riusciti a creare “ponti commerciali” con in nord Italia. La città dei cento campanili storicamente è anche una delle roccaforti dei Santapaola, anzi il boss che porta Cosa nostra ad Acireale era uno dei pochi che poteva sedersi nella commissione provinciale di Cosa nostra, alla corte di Nitto Santapaola e Sebastiano Ercolano. Il nome era quello di Sebastiano Sciuto, detto Nuccio Coscia, che negli anni ’80 aveva creato un gruppo criminale dedito alle estorsioni. Il boss acese aveva il “pedigree” del mafioso di razza: infatti riuscì ad entrare nelle grazie di Iano Ercolano durante un periodo in cui divisero il carcere. Sciuto era il referente della fascia ionica per i Santapaola: a lui dovevano proferire da Acireale, Aci Catena, Santa Venerina, Zafferana Etnea fino a Fiumefreddo e Giarre, zona dell’ormai scomparso boss Paolo Brunetto. Altro personaggio di vertice del crimine organizzato acese dell’epoca era Alfio Manca, u Sardignolu. Anche per lui il salto di carriera a livello mafioso avvenne dietro le sbarre: si affiliava alla cosca dei Cappello, in quegli anni era uno dei clan che faceva parte del cartello che si contrapponeva ai Santapaola e a Cosa nostra. Appena fuori dal carcere Manca fu assassinato dai killer di Sciuto. Nuccio Coscia si liberò subito di qualsiasi ambizione criminale dell’avversario una sera di dicembre del 1992. Manca scese dalla macchina per andare in un negozio del centro storico. I sicari lo crivellarono di colpi, nell’agguato restò ferito anche il figlio del proprietario. Fu uno degli omicidi eccellenti di quel periodo: in quei mesi, mentre a Palermo si piangevano le stragi, ad Acireale le strade erano macchiate di sangue. Con un escamotage tecnico-giuridico Sciuto finisce in carcere nel 1993. Eravamo alla vigilia della maxi operazione Orsa Maggiore, forse la più importante di quegli anni. Il blitz porto’ in carcere anche i capi di Cosa nostra ad Acireale.
Un’altra storia rispetto a quanto accade oggi: con retate di mafia che riguardano contestazioni di reato di alcuni anni precedenti. La svolta arrivava da un pentito, il primo importante pentito acese. Rosario Scuto, detto Puccio, faceva il salto del fosso e raccontava alla polizia omicidi, estorsioni e rapine. Era giugno del 1996 quando con l’operazione Ciclope vennero assicurati alla giustizia oltre 30 affiliati di Cosa nostra. Puccio era “l’esattore” del clan. Conosceva insomma la “carta del pizzo” di Acireale. La polizia iniziava a parlare con i commercianti e alcuni ammisero di pagare il pizzo. E’ importante evidenziare che in quel periodo non c’era una spartizione territoriale del controllo mafioso, Laudani e Santapaola “lavoravano” senza pestarsi i piedi a vicenda secondo un accordo di pax che è durato nei decenni.
Con l’operazione Ciclope il gruppo dei pentiti si allarga, entrarono nel programma di protezione Alfio Trovato, detto Alfio dell’acqua nova di Aci Catena, Mario Trovato, Sebastiano Pagano, detto Vastianu a Lupa, Filippo Patanè, catenoto anche lui, chiamato Filippo U Baruni. Con Sciuto in carcere il potere criminale era affidato ad un sorta di triunvirato composto da Salvatore Costarelli (Turi Pedi chiunnuti), Alfio Zappulla e Gaetano Pennisi (cognato del capomafia Sciuto). Le manette sui polsi di Pennisi scattarono il giorno del suo matrimonio. I poliziotti aspettarono la conclusione del ricevimento per arrestarlo.
Gli arresti fioccavano e il clan minacciava ‘Puccio’ (Rosario Scuto) per farlo ritrattare. Ma non ci riuscirono. A dicembre del 1996 l’operazione Galatea permetteva di azzerare ancora una volta la squadra militare dei Santapaola di Acireale. In quel blitz riusciva a fuggire Angelo Scalia, uomo dello zoccolo duro della mafia acese. Ancora sangue in quei mesi. Giovanni Leonardi sarebbe vittima di una epurazione interna. Purtroppo però resta un delitto irrisolto, ancora fino ad oggi.
Passarono pochi mesi dalla retata Galatea e un personaggio interno alla cosca iniziava a passare “soffiate” alla polizia. Dalle sue “confidenze” prese avvio l’indagine che culminava nel blitz Dafne: Salvatore Palazzolo era diventato collaboratore di giustizia, ma si fingeva latitante. “Un ottimo infiltrato”, lo descrivevano gli inquirenti dell’epoca. Le sue rivelazioni permisero anche di catturare Angelo Scalia che si nascondeva in un complesso residenziale a nord di Acireale. Palazzolo, Turi L’elettricista, venne allo scoperto nell’operazione Alta Tensione del 1997. Sono gli anni bui della mafia acese, perché dall’altra parte i carabinieri misero a tappeto il clan Laudani con la maxi inchiesta Fico D’India. Pochi anni di tregua e poi il gruppo di Acireale si è riorganizzato. E’ grazie ad alcune intercettazioni che gli inquirenti comprensero che Paolo Vasta, semplice autista di Angelo Rigano (uomo della mala di Acireale) era diventato l’uomo di riferimento del gruppo Santapaola acese. Dalle attività tecniche emersero fatti inquietanti: la mafia si addentrava nella politica. Con l’operazione Euroracket finirono in carcere non solo i “soldati” della mafia militare ma anche ex politici e amministratori. Le azioni della giustizia finirono per indebolire il gruppo mafioso che non poteva contare sui personaggi di peso criminale finiti tutti in gattabuia. La zona ionica non ha più un solo referente, come succedeva con Nuccio Coscia. Ma solo uomini che poi dovevano “riferire” ai capi catanesi, per un periodo al gruppo al Villaggio Sant’Agata, con Raimondo Maugeri e Salvatore Gurrieri detto il Puffo, e poi a Picanello. Un aspetto ancora attuale e che viene fuori anche dalla recente operazione antimafia Orfeo. Alfredo Quattrocchi, detto Alfio, “controllava” nei primi anni 2000 Acireale e Aci Catena.
Ad un certo punto nella città dei cento campanili nel 2002 arrivava la droga, marijuana e cocaina. Anche perché le estorsioni non fruttavano come una volta. I commercianti iniziavano a denunciare e questo faceva paura alla mafia. Acireale si distingueva da Catania per diversi aspetti. I Santapaola erano i grossisti dello stupefacente, rifornivano i pusher indipendenti. Tra questi quelli della piazza di spaccio di San Cosmo. Emergevano diverse figure criminali, alcune di queste legate ai vecchi boss. Come Salvatore Indelicato, detto u spiddu, ex cognato di Nuccio Coscia, Antonino Manca, zio del boss ucciso nel 1992, Carmelo Messina e Salvatore Gurrieri.
La città a livello mafioso però subiva una profonda trasformazione nei primi anni del nuovo millennio. La parte alta di Acireale era militarmente controllata dai Santapaola, mentre la zona sud dai Mussi i Ficurinia. Corso Savoia è la via spartiacque della mafia. Le indagini che partirono tra il 2005 e il 2010 sono al centro di un processo ancora in corso al Tribunale di Catania. Le figure chiave che facevano affari illeciti ad Acireale per conto dei Santapaola sono, oltre Indelicato e Messina (arrestati anche nel maxi blitz Fiori Bianchi), Rosario Panebianco, cognato di Giovanni Comis (uomo di vertice del gruppo di Picanello a Catania), Camillo Brancato, Gaetano Vinciguerra, oggi collaboratore di giustizia, Roberto Corallo. Quest’ultimo i poliziotti lo intercettarono ai traghetti mentre trasportava cocaina purissima.
Il volto della mafia acese negli ultimi anni è cambiato. Non c’è un boss come Nuccio Coscia che può dire la sua al tavolo della cupola catanese. I Santapaola di Acireale e Aci Catena devono tenere conto delle direttive dei “catanesi”. La strategia però è quella dell’inabissamento, senza colpi di testa che possono attirare l’attenzione delle forze di polizia. La droga, resta, ancora uno degli affari primari del gruppo mafioso.
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29 Maggio 2017, 17:51