26 Maggio 2014, 19:31
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PALERMO – E’ morto Paolo Viganò, ex calciatore del Palermo degli anni Settanta. La storica penna rosanero Benvenuto Caminiti lo ricorda così.
26 maggio 1974, stadio Olimpico di Roma, finale di Coppa Italia: BOLOGNA-PALERMO. PALERMO: Girardi, Zanin, Cerantola; Arcoleo, Pighin, Barlassina; Favalli, Ballabio (61’ Vullo), Magistrelli, Vanello, La Rosa (46’, Barbana).
BOLOGNA: Buso; Roversi, Rimbano (75’, Pecci); Battisodo, Cresci, Gregori (46’ Novellini); Ghetti, Bulgarelli, Savoldi, Vieri, Landini.
Arbitro: Gonella di Torino: Reti: 32’, Magistrelli; 90’, Savoldi.
Risultato finale: 5-4, dopo i tempi supplementari e i calci di rigore.
Per ricordare Paolo Viganò (proveniente dal Monza, giocò nel Palermo per quattro stagioni, dal ‘72 al ’76, ma aveva cominciato la carriera in serie A con la Juve e la Roma) mi piace farlo cominciando dalla sua grande occasione mancata: la finale di coppa Italia all’Olimpico di Roma del 23 maggio 1974, che lui non potè giocare perché squalificato per l’ammonizione presa nella partita precedente, contro la Lazio, vinta dal Palermo alla Favorita per 2-0. Ricordo come ci rimase male, ne parlò a fine incontro con tutti, giornalisti ed amici ed io ero l’uno e l’altro: “Non mi do pace, era la mia occasione, non dovevo lasciarmela scappare!”.
Era fatto così Paolo Vigano, classe 1950, da Seregno, nella Brianza, capelli biondi e tutto scatti, in campo e nella vita. Lo chiamavamo, un po’ per sfotterlo un po’ perché gli volevamo tutti bene per il suo carattere gioviale, il “Netzer di Seregno”, cui somigliava straordinariamente. Ma solo per il ciuffo biondissimo e la camminata un po’ ondeggiante. E per nient’altro. Per il resto, calcisticamente parlando, erano due mondi agli antipodi: l’uno, il tedesco, trequartista dotato di una tecnica sopraffina e di una visione di gioco da vero artista del pallone; l’altro, il biondo terzino rosanero, un cursore di fascia che non si fermava mai, una sorta di moto perpetuo: lui partiva all’attacco perché era sì un terzino, ma dentro – là dove conta di più – si sentiva un’ala, un’ala vera, di quelle che già allora cominciavano a scarseggiare. E Viciani, che prediligeva il gioco corto, si infuriava ogni volta che lui mollava la guardia dell’avversario da marcare e partiva come una freccia . Poi faceva fatica a rientrare e alla fine si beccava le sfuriate del mister, che era inflessibile nell’attuazione dei suoi ferrei schemi di gioco. Anche perché sulla sua stessa fascia giostrava da ala pura Favalli, che se ne lamentava: “Mister, Paolo non fa altro che pestarmi i piedi!”. Poi ne parlavano insieme, lui ed Erminio, e si facevano delle matte risate. Erano due tipi speciali, allegri e generosi. In campo e nella vita. Lombardi entrambi ma solo anagraficamente, perché nel carattere sembravano due “terroni”. L’uno di Seregno, l’altro di Cremona. Furono amici inseparabili, oltre che compagni di squadra. Uniti dallo stesso beffardo finale di partita: lasciare il campo anzitempo. Paolo se n’è andato per un male incurabile nella notte tra il 22 e il 23 maggio, a quarant’anni esatti da quel crudele 4-5 d.c.r., ad opera del Bologna: come l’ultimo colpo di coda di un destino crudele.
P.S. Un aneddoto, per spiegare un po’ meglio com’era fatto: quando si sposò (con la figlia del presidente del Monza) mi invitò alle nozze, fui tra i pochi addetti ai lavori a ricevere tanto onore, ma fui costretto a declinare. Conoscendo il suo amore per la pittura, gli feci recapitare il mio dono di nozze: una tela di Cascella, che lui apprezzò moltissimo, come scrisse in un paio di cartoline inviatemi durante il suo magnifico viaggio di nozze.
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26 Maggio 2014, 19:31