30 Settembre 2023, 07:00
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Non è semplice per noi giornalisti incontrare davvero altri esseri umani, a prescindere dai fatti di cronaca, impegnati come siamo a raccontare le vite degli altri, senza dirci la nostra. E’ ancora più difficile se gli altri esseri umani sono, come noi, giornalisti.
Si vive e si lavora a fianco, da monadi, con la visione del pezzo in pagina, del titolo, del sommario. Con la concentrazione che esclude il resto. Talvolta, non riesci a sentire i sospiri che hai accanto e non vedi i sorrisi. Ma, quando muore un giornalista, specialmente se era uno voluto bene da tutti (cosa non scontata nella nostra categoria) come Angelo Meli, i giornalisti si scuotono, aprono gli occhi su sentimenti e circostanze, affiorano ricordi, storie. Si avverte il profumo delle esperienze che ognuno ha vissuto e tante cose si mettono insieme.
Quando, ieri mattina, abbiamo appreso che Angelo non c’era più, i cronisti che lo hanno conosciuto, quelli che avevano sentito parlare di lui, quelli che erano passati dalle sue parti – e, a cascata, il resto – si sono alzati in piedi, piangendo. Le redazioni sono state attraversate da una esperienza di intensa commozione.
Telefonavi ai colleghi, ieri, e sentivi voci aggravate dal dolore. E ognuno offriva un ricordo, un rimpianto, una gemma di umanità. Perché Angelo Meli è stato un maestro di più generazioni di cronisti. Ora, se tu gli avessi detto che era un maestro, è certo che ti avrebbe tirato un tomo di economia in testa. Ma tale era davvero. Perché, Angelo, dei maestri aveva la caratteristica principale: l’umiltà.
Ci incontrammo in via Lincoln, nella redazione di economia e lavoro del ‘Giornale di Sicilia’, come accadde a tantissimi. Il comandante in capo era Papà Natale, ovvero Natale Conti, anche lui scomparso. Ci mettevi due secondi a capire che era buono come un pezzo di pane, quel comandante. Angelo, pure, era buonissimo come lui, ma gli toccava la parte più ispida e necessaria di una pedagogia: il ruolo di chi dà uno schiaffetto metaforico al nuovo arrivato, quando è necessario, per fargli capire come lavorare. Quel giorno indimenticabile, infatti, reggendo tramite due dita il foglio con un articolo del sottoscritto, la sua sentenza fu lapidaria: “U’ to pezzu fa schifu, viremu chi dici Natà”. Aveva ragione lui.
Angelo e Natà, volendo leggere la situazione in chiave scenica, erano perfetti. A vicenda, protagonisti e spalla. Papà Natale borbottava, Angelo rispondeva: “Senti, Natà...”. Ed erano sempre discussioni enciclopediche che prendevano l’ampia tangenziale del surrealismo. Fino alla Cassazione del capo: “Angelo, sa ffari accusì”. In sottofondo, una sinfonia di tasti che picchiettavano.
Angelo Meli è stato un giornalista militante, non nel senso della fazione. Era un fedele sostenitore e operatore del giornalismo, alla radice della sua vocazione. Era preciso, libero, non conosceva né amici, né nemici, quando si immergeva nel suo mestiere, cioè sempre. Parlarci, avere a che fare con lui, significava inspirare boccate d’aria fresca.
Era con la sua amata Maria Rita – che abbracciamo forte – quando si è sentito male. Stavano concludendo, insieme, una delle tante serate di inossidabile amore, trascorse l’uno accanto all’altra. Poi è successo. Addio, Angelo, maestro umile e sincero. Lasci innumerevoli orfani che, in queste ore, si stanno parlando. Per capire come andare avanti, con il cuore appesantito dall’atroce notizia della tua morte. E chi ci può credere, Angelì?
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30 Settembre 2023, 07:00