05 Luglio 2011, 17:26
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Respingono le generalizzazioni. Ma poi, subito dopo quella che sembra una mezza frenata, i ragazzi di Addiopizzo non nascondono un’adesione di massima alle affermazioni del presidente di Confindustria Palermo Alessandro Albanese, che sabato su “La Padania” e di nuovo questa mattina su “DiPalermo” ha definito il centro della città “la Palermo peggiore”: “Per l’esperienza fatta in questi anni a contatto con tanti operatori economici e in considerazione di ciò che è emerso da diverse operazioni di polizia che hanno riguardato soprattutto il centro città – spiega Daniele Marannano, attivista del Comitato – è un dato inoppugnabile che il fenomeno delle estorsioni sia diffuso anche nel salotto della città”.
Oggi, su “DiPalermo”, Albanese parla di “questi commercianti che si incipriano il naso per pappariàrsi in vetrina e poi sguazzano nella melma del malaffare come i topi nelle fogne”.
“Lo spaccato che viene fuori dalle inchieste, ma che riguarda anche le periferie della città, è che diversi commercianti che pagano il pizzo considerano l’estorsore e la mafia i principali interlocutori per la risoluzione di controversie legate alla propria attività commerciale, dal recupero crediti a problemi di concorrenza e di vicinato. Tutto ciò è diffuso e grave perché denota un livello di connivenza forte tra parte del mondo del commercio e l’organizzazione mafiosa, che rappresenta un forte limite alla crescita delle denunce”.
Insomma, fuori dai denti: condividete l’appello al boicottaggio delle boutique del centro lanciato da Albanese su “La Padania”?
“La nostra non è e non vuole essere un’azione di boicottaggio. Attraverso il consumo critico vogliamo sostenere chi in questi anni ha trovato la forza e il coraggio di ribellarsi al racket e convincere quanti oggi pagano a uscire da questo tunnel. Nei confronti di chi continua a pagare e in sede di indagine non collabora nonostante le evidenze probatorie ci costituiamo parte civile nei processi semplicemente perché queste condotte sovraespongono gravemente chi invece ha scelto di denunciare. Riteniamo però che le grandi firme, nella selezione dei loro interlocutori commerciali, non dovrebbero annoverare chi è reticente”.
A conti fatti, però, su 682 aderenti al circuito del Consumo critico, 141 fanno capo al quartiere Libertà. È più del 20 per cento, segno che forse non proprio tutto va per il peggio.
“Assolutamente no. Tuttavia il quartiere Libertà ha dimensioni molto estese, perciò riteniamo che gli attuali aderenti al nostro circuito, parte dei quali non provengono dal più noto salotto della città ma da strade e quartieri adiacenti, rappresentino una esigua minoranza rispetto al numero complessivo di operatori economici della zona”.
Da questo punto di vista la presa di posizione di Albanese può darvi una mano.
“Registriamo con favore la nuova presa di consapevolezza dei vertici delle associazioni datoriali. Adesso, però, è necessario che tutto ciò sia trasfuso sui singoli iscritti. Se le basi delle organizzazioni non vengono realmente convinte che la strada della denuncia è l’unica percorribile per un definitivo affrancamento dal fenomeno del racket, la presa di posizione delle associazioni rischia di dissolversi come neve al sole senza sortire alcun effetto concreto”.
In questi giorni, fra l’altro, la vernice rossa è tornata a imbrattare le vetrine del centro. Secondo voi c’è il rischio che il vuoto di potere in Cosa nostra porti a una recrudescenza del pizzo?
“Nell’ultimo periodo il trend dei danneggiamenti e delle intimidazioni, a parte alcuni episodi gravi ed eclatanti, è stato più o meno costante. La recrudescenza nasce anche dalla necessità dell’organizzazione mafiosa di reperire quanto più denaro per il mantenimento delle famiglie di centinaia di detenuti e per le spese legali. Inoltre in alcune zone della città i vuoti sono stati ricoperti da una manovalanza il cui spessore e pedigree criminale non è certamente quello dei boss oggi in carcere. Tuttavia si tratta di estorsori molto più spregiudicati e che in certi casi approcciano con modalità più violente”.
Detto così, sembra che oggi denunciare sia più pericoloso.
“Oggi rispetto al passato si sono create le condizioni perché si possa comunque maturare la scelta della denuncia senza essere lasciati soli. Attorno a chi compie tale scelta si è venuta a creare una sorta di scudo sociale fatto da cittadini, movimenti, associazioni, forze dell’ordine e magistratura che evitano quanto è accaduto nel periodo buio degli anni Novanta, quando chi denunciava era solo e nella peggiore delle ipotesi, a causa di questo isolamento, come è accaduto a Libero Grassi, veniva ucciso. Oggi si sono aperte delle importanti crepe nel muro dell’omertà, e adesso quel muro deve essere abbattuto. Per realizzare questo obiettivo occorre che ciascuno faccia la propria parte assumendosi personalmente e direttamente le proprie responsabilità”.
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05 Luglio 2011, 17:26