27 Aprile 2018, 05:32
1 min di lettura
PALERMO – Il pizzo lo imponevano a tappeto. Bussavano alla porta di tutti i negozianti, tranne “da quelli con l’adesivo”, e cioè i commercianti che aderivano ad Addiopizzo.
Danilo Gravagna oggi è un collaboratore di giustizia, ma prima di pentirsi era un picchiatore al soldo dei boss di Porta Nuova. Un ruolo che ripercorre in aula sollecitato dalle domande dell’avvocato Valerio D’Antoni che si è costituito parte civile per conto del comitato antiracket.
Il processo riguarda Alfredo Geraci, Girolamo Ciresi, Franco Bertolino, Salvatore Martorana, Salvatore Lauricella e Nicolò Testa. Sono imputati davanti alla terza sezione del Tribunale presieduta da Marina Petruzzella con l’accusa di avere fatto parte dei clan mafiosi di Porta Nuova e Bagheria. La scelta di farsi processare con il rito ordinario ha separato la loro posizione da coloro che sono già stati giudicati, e in gran parte condannati, in abbreviato a pene severe.
Tra le prime cose messe a verbale da Gravagna c’erano i racconti della violenza mafiosa: “Ogni famiglia si avvale di una squadra di soggetti, alcuni affiliati altri no, che effettua spedizione punitive nei confronti di soggetti che non rispettano le regole di Cosa nostra”. Gravagna conosceva pure i dettagli, tanto da spingersi ad affermare che “talvolta l’azione punitiva consiste in un’aggressione violenta altre volte in azioni più eclatanti”.
Il picchiatore Gravagna, però, aveva l’ordine di tenersi alla larga dai commercianti iscritti ad Addiopizzo che manifestavano il loro “no al racket” esponendo un adesivo divenuto negli anni il tratto distintivo del comitato.
“Da quelli non andavano proprio – spiega Gravagna – perché era un problema per noi”. Meglio stare alla larga da chi denuncia e battere cassa laddove il silenzio dei commercianti lascia presagire un atteggiamento accondiscendente verso le richieste estorsive.
Pubblicato il
27 Aprile 2018, 05:32