22 Dicembre 2016, 20:44
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PALERMO – Solo Dio sa quanto bisogno di provocazioni ha questa Sicilia. Isola ammorbata, nel recentissimo passato per non parlare del desolante presente, da una retorica spicciola, spesso manichea, che ha trasformato principi sacri come quelli che dovrebbero ispirare la lotta alla mafia, giusto per citarne uno, in un manualetto di buone maniere, in una crociata grigia, spesso nella recita stanca della canzoncina utile al potere.
Ma davvero, davvero c’era bisogno di quella provocazione? Di quel richiamo a una Sicilia da annegare? Probabilmente sì, probabilmente serviva anche quello. Come servì in passato la zaffata del cantante Roberto Vecchioni, che definì questa terra, fuor di metafora, una terra di merda. E allora passi che anche di queste provocazioni c’è bisogno, per scuoterci dall’indolenza, per toglierci di dosso la polvere delle abitudini divenute vizi. Ma con tutto il rispetto per la storia e il curriculum, è proprio il professore Gianni Puglisi a doversi sobbarcare il peso di questa polemica?
“Serve – riportiamo, per chi non avesse letto le ormai note parole – una grande rottamazione anche per la Sicilia. Se mi si consente una provocazione, occorrerebbe prendere l’Isola, immergerla per tre volte nell’Oceano indiano, per essere certi che non resti vivo nessuno, e poi rimetterla al suo posto, tra le sue bellezze, per un nuovo rapporto tra uomo e natura. Anche questa in fondo e’ una rottamazione…”.
Per carità, il ragionamento, visto dalla giunta distanza della esagerazione, della provocazione intellettuale, appunto, può essere condivisibile. Ma è, forse, anche vera un’altra cosa. Se la Sicilia è questa qui, terra da sommergere insieme a tutti i suoi abitanti, magari lo è anche a causa dell’incapacità di una intera classe dirigente, di farsi “illuminata”. Di divenire capace, insomma, di cambiarla davvero quest’Isola, scongiurando così la necessità di questo bagno definitivo e purificatore.
Provocazione per provocazione, allora, il professore accetti anche, nel piccolo, la nostra. Vanno annegati tutti, allo stesso modo? O c’è qualcuno, magari, per il fatto stesso di avere avuto tra le mani strumenti utili a cambiarla, questa terra, a doversi assumere qualche quota di responsabilità maggiore rispetto all’ignaro cittadino-medio dell’Isola, con tutti i suoi difetti atavici e acquisiti?
Insomma, chi ha, in pochi anni ricoperto incarichi come quelli che costellano la vita professionale di Gianni Puglisi, può affermare quelle cose a cuore leggero? Ecco, per facilitare una risposta, un breve e non completo elenco: Puglisi è stato docente universitario a Palermo, preside della Facoltà di Magistero, docente dello Iulm di Milano, rettore dello stesso ateneo, rettore dell’Università Kore di Enna, presidente e amministratore delegato della Fondazione Scuola superiore per interpreti e traduttori, decano della conferenza nazionale dei rettori, presidente della Società siciliana per la Storia Patria, presidente del Consorzio Nettuno, presidente (dopo esserne stato segretario generale) della commissione nazionale italiana per l’Unesco, vice presidente della commissione nazionale per la promozione della cultura italiana all’estero, componente del comitato dei garanti dell’Italian Academy for advanced studies in America alla Columbia University, presidente emerito (da poco non è più il presidente) della Fondazione Sicilia (già Fondazione Banco di Sicilia), consigliere di amministrazione dell’Associazione delle casse Risparmio italiane e delle Fondazioni di origine bancaria, consigliere di amministrazione di Banca Sistema, Consigliere di amministrazione della Fondazione con il Sud, vicepresidente dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana ‘Treccani’, presidente del Teatro Biondo-Stabile, del premio letterario Internazionale Mondello, del premio internazionale Luigi Pirandello.
Ci fermiamo qui. È questo, in realtà, un elenco non esaustivo. Ma rende l’idea. E suggerisce quella domanda. Anzi due. La prima, che ci limitiamo a ribadire: chi ha ricoperto legittimamente e autorevolmente tanti incarichi di prestigio, non dovrebbe assumersi qualche responsabilità in più se la Sicilia, oggi, è solo da affondare? La seconda: il professore lo sa che affondandola, gettiamo nel fondo del mare anche tutti quelle fondazioni, tutti quegli istituti e – per farla breve – tutti quegli incarichi a lui tanto amorevolmente intestati?
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22 Dicembre 2016, 20:44