“Droga ai detenuti di Bicocca”| Agente penitenziario ai domiciliari

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30 Novembre 2014, 06:01

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CATANIA – La foto di Mario Musumeci è stata riconosciuta anche dal collaboratore di giustizia Gaetano D’Aquino, “figlioccio” del capomafia Cappello. Il pentito lo indica come uno degli agenti di polizia penitenziaria che avrebbero aiutato i detenuti a migliorare il loro pernottamento in carcere, facendo arrivare droga e merce vietata. Si complica la posizione per il poliziotto in servizio a Bicocca che a fine ottobre è finito ai domiciliari con la pesante accusa di corruzione. Il riconoscimento fotografico, insieme ad altri elementi acquisiti dopo la perquisizione a casa dell’ispettore capo, sono stati portati davanti al Tribunale della Libertà. Il Riesame, presieduto dal giudice Vagliasindi, valutate le posizioni ha respinto il ricorso della difesa ed ha confermato il provvedimento cautelare. L’agente di polizia penitenziaria è quindi rimasto ai domiciliari.

A casa di Musumeci i carabinieri hanno trovato due chiavi. Una di queste, è stato scoperto a seguito di una precisa richiesta della procura, era stata adulterata e consentiva di entrare in diverse braccia del carcere di Bicocca, sia il braccio destro che sinistro. Il pm ha consegnato il verbale di ispezione ai giudici della Libertà. Per la Procura questa chiave (che apre un magazzino ormai dismesso del carcere) verosimilmente avrebbe permesso a Musumeci di poter accedere nelle due braccia con grande facilità. Va specificato, però, che non c’è alcuna prova su questa ipotesi.

Dei “favori” resi da Musumeci ai detenuti hanno parlato diversi collaboratori di giustizia, ex affiliati dei Cursoti Milanesi, dei Santapaola e dei Laudani. Due di questi lo hanno riconosciuto anche in foto: Girolamo Barbagallo dei Santapaola e Franco Russo dei Cursoti. Hanno parlato di lui anche due esponenti della mafia militare rappresentata dai Musi i Ficurinia, Giuseppe Laudani e Nazareno Anselmo.

“Il bassino e quattrocchi”. Erano i soprannomi di Mario Musumeci secondo Girolamo Barbagallo. Il pentito afferma che l’agente, insieme ad un collega chiamato “ponchio” (Seminara, un altro degli indagati di questa inchiesta) era “a disposizione dei detenuti per fornire generi vietati” come liquori, cocaina, apparecchi MP3, orologi, collane, il tutto in cambio di un compenso monetario. Ci sarebbe stato addirittura un litigio ( a cui avrebbe assistito il collaboratore) tra Musumeci e Seminara perchè il tariffario di “quattrocchi” era troppo basso (250 rispetto ai 300 euro tradizionali). Concorrenza sleale, insomma. Pietro Russo parla di Musumeci come il “corriere della droga” dei Laudani detenuti. Ipotesi avvalorate anche dalle dichiarazioni di Giuseppe Laudani e Nazareno Anselmo, ex esponenti di calibro dei Musi i Ficurinia.

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Musumeci ha sempre respinto le accuse. Il difensore dell’indagato ha evidenziato ai Giudici della Libertà che le dichiarazioni dei collaboratori sono “de relato”, cioè apprese da interposte persone. Non si tratta di testimonianze dirette, nessuno di loro avrebbe avuto contatti personali con l’agente di polizia penitenziaria.

“Si tratta di un errore di persona”. E’ stato ribadito dall’avvocato davanti al Riesame quanto detto in fase di interrogatorio di garanzia davanti al Gip, e cioè che nel riconoscimento fotografico i collaboratori avrebbero scambiato Musumeci con un altro collega (con cui ci sarebbero delle somiglianze). Inoltre, l’indagato dal 2009 non avrebbe avuto più accesso all’interno della struttura in quanto assegnato a servizi esterni all’istituto penitenziario.

L’inchiesta riguarda oltre Musumeci altri quattro ex agenti di polizia penitenziaria: Antonio Raineri, Giuseppe Seminara, Vito Limonelli e Giuliano Gerardo Cardamone. Per quest’ultimo, ex comandante, pesa l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Oltre a portare la cocaina all’interno del carcere, gli ex poliziotti avrebbero organizzato veri e propri summit tra i boss detenuti. Alcune di queste riunioni si sarebbero svolte nella cappella di Bicocca.

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30 Novembre 2014, 06:01

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