Agenti “al servizio” dei clan |In carcere privilegi per i detenuti

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31 Ottobre 2014, 09:19

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CATANIA – Sarebbero stati “ingaggiati” dai clan per poter migliorare le condizioni di vita di chi viveva dietro le sbarre dei due carceri catanesi di Piazza Lanza e Bicocca. Cinque agenti di polizia penitenziaria, quattro dei quali non più in servizio, sarebbero stati il ponte di collegamento con l’esterno per alcuni detenuti, esponenti delle consorterie mafiose o comunque legati al mondo della criminalità organizzata. Tra il 2009 e il 2013 Mario Musumeci, Antonio Raineri, Giuseppe Seminara, Vito Limonelli e Giuliano Gerardo Cardamone avrebbero acconsentito, dietro il pagamento di somme di denaro, a soddisfare le richieste dei carcerati. I poliziotti infedeli li avrebbero riforniti di alcolici, cibo vietato, cellulari, droga e in alcuni casi avrebbero organizzato riunioni tra i boss, o colloqui telefonici con i familiari. Un sistema scoperchiato da una delicata indagine svolta dai Carabinieri e che ha portato all’arresto di Musumeci per il reato di corruzione. Gli altri quattro agenti sono indagati: il Gip, pur ritenendo solido l’apparato probatorio, non ha ravvisato ci fossero le condizioni per la reiterazione del reato e, dunque, le esigenze per disporre le misure cautelari. Raineri, Seminara, Cardamone e Limonelli hanno interrotto, infatti, il rapporto di lavoro con l’amministrazione penitenziaria per pensionamento, congedo e sospensione del servizio. I quattro affronteranno l’eventuale processo a piede libero.

GLI AGENTI CORROTTI. I carabinieri ieri hanno notificato a Mario Musumeci, assistente capo della Polizia Penitenziaria di Bicocca, il provvedimento emesso dal Gip su richiesta della Dda di Catania. Musumeci è finito agli arresti domiciliari: le accuse sono di corruzione e di detenzione di cocaina e marijuana. L’agente – secondo quanto emerso dall’inchiesta – avrebbe favorito i detenuti per un periodo che va dal 2009 fino a febbraio 2013. È indagato per concorso esterno Giuliano Gerardo Cardamone, ex Comandante della Polizia Penitenziaria del Carcere di Bicocca. Per gli inquirenti sarebbe stato al ‘servizio’ della cosca Laudani in maniera stabile e continuativa: dal clan avrebbe ricevuto uno ‘stipendio’ mensile pur di assicurare i favori ai detenuti appartenenti alla famiglia mafiosa. È finito nell’occhio del ciclone anche Antonio Raineri, assistente capo a Piazza Lanza, che nel 2012 fu arrestato in flagranza. L’agente fu trovato in possesso di un pacco con cocaina, marijuana, profumi e alcuni pizzini che dovevano essere consegnati ad un detenuto dietro il pagamento di una “parcella”. Per questo episodio Raineri è stato condannato, con sentenza di primo grado, dal Tribunale di Catania per corruzione e detenzione di droga. Gli ultimi due indagati sono Giuseppe Seminara e Vito Limonelli. Il primo è assistente capo a Bicocca, ma è stato sospeso dal servizio in quanto arrestato nell’ambito dell’inchiesta Fiori Bianchi 3, il secondo, invece, ricopre il medesimo ruolo di Seminara ma a Piazza Lanza. I detenuti che hanno usufruito delle illecite prestazioni dei pubblici ufficiali sono stati denunciati per concorso nel reato di corruzione.

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L’INCHIESTA – Le indagini prendono corpo dall’arresto nel 2012 di Raineri. I carabinieri sviluppano nuovi accertamenti, muovendosi anche sulle direttrici delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, che “documentano – anche grazie al supporto delle intercettazioni ambientali e telefoniche – l’esistenza di un sistema di corruzione che ha visto coinvolti alcuni appartenenti alla polizia penitenziaria, in servizio nelle case circondariali di Bicocca e Piazza Lanza. Gli indagati, in modo continuativo e dietro pagamento di denaro, a volte una tantum e in altri casi a cadenza mensile, avrebbero favorito numerosi affiliati delle cosche di Catania e provincia durante i periodi di detenzione nei due istituti”.

IL SISTEMA – I servizi resi dai cinque agenti ai detenuti variava a seconda della carica ricoperta dall’indagato. Si partiva dal rifornimento in carcere di merce vietata: cibo particolare, alcolici, profumi, telefonini, lettori mp3, e anche cocaina e marijuana. Ai capimafia sarebbe stato assicurato un servizio ulteriore; i poliziotti organizzavano all’interno del carcere le riunioni riservate tra gli esponenti di vertice di un clan, oppure si garantiva di poter comunicare con l’esterno attraverso, ad esempio, i colloqui telefonici con i familiari. Gli agenti avrebbero avuto anche il ruolo di messaggeri e postini: da una parte avvisavano i detenuti di eventuali blitz e arresti che coinvolgevano sodali del loro gruppo, e dall’altro consegnavano bigliettini e messaggi ricevuti da parenti o affiliati. Per il “favore” il clan decideva o di pagare un fisso mensile, oppure versava una cifra che oscillava dalle 200 alle 300 euro per ogni pacco introdotto in carcere.

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31 Ottobre 2014, 09:19

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