28 Giugno 2010, 10:51
3 min di lettura
Dieci anni. Dieci anni nei quali già si tiene conto della riduzione di un terzo della pena, concessa dal rito abbreviato scelto da Salvatore Cuffaro. Dieci anni non solo per la rilevanza del contributo dell’imputato a favore di Cosa nostra ma anche per la sua posizione di presidente della Regione siciliana. Mentre i pm Nino Di Matteo e Francesco Del Bene espongono al gup Vittorio Anania il termine della requisitoria, la testa bassa di Totò Cuffaro, le sue mani sulla fronte, fanno intuire che le accuse mosse contro di lui non sono leggere.
Secondo l’accusa, dal 1991 al 2004, Totò Cuffaro ha intrattenuto rapporti con Cosa nostra di stampo politico-mafioso, derivanti dai patti elettorali stipulati con i Mandalà, ai vertici della famiglia mafiosa di Villabate, e con Giuseppe Guttadauro, capomandamento di Brancaccio. La “ricerca spasmodica di voti” di Cuffaro lo avrebbe portato a inserire nelle liste che appoggiavano la sua candidatura alla presidenza della Regione esponenti graditi alle due famiglie: Giuseppe Acanto per i Mandalà e Mimmo Miceli per Guttadauro. Voti per Cuffaro ma anche per esponenti graditi a Cosa nostra. E proprio la consapevolezza di Totò Cuffaro riguardo al rapporto tra i candidati e le famiglie mafiose, avrebbe portato al loro inserimento nelle liste.
Ma non solo. Di Matteo parla di un sistema di controinformazione attraverso il quale Cuffaro poteva garantire l’immunità. Ne facevano parte: Antonio Borzacchelli, maresciallo eletto nelle fila della lista “Biancofiore” creata appositamente per la sua candidatura, il maresciallo del Ros Giorgio Riolo e il maresciallo Giuseppe Ciuro (applicato alla procura in assistenza ad Antonio Ingroia) condannati nei vari procedimenti scaturiti dalle indagini sulle “talpe della Dda”. “Da due anni pende su di lui la condanna senza che sia stato fissato il giudizio in Cassazione” aggiunge di Matteo riferendosi al maresciallo Ciuro.
Per i pm, grazie a questo sistema, Cuffaro ha potuto avvertire Francesco Campanella, uomo dei Mandalà, delle indagini a suo carico: “Tu sei nei guai, – ha detto Campanella riportando le presunte parole di Cuffaro – sei pedinato, microfilmato, fotografato, intercettato. Ci sono prove a tuo carico, per i tuoi rapporti con i Mandalà”. Campanella, quindi, avrebbe risposto all’ex governatore che per ripararsi dai sospetti stava organizzando iniziative antimafia. Ma Cuffaro gli avrebbe dato un’ulteriore dritta. “Se vuoi ripararti sotto l’ombrello della finta antimafia,- riporta ancora Campanella- dovresti avvicinarti all’onorevole Lumia, che conta molto in ambienti giudiziari”. L’insospettabile Francesco Campanella, ex segretario nazionale dei giovani dell’Udeur, ex presidente del consiglio comunale di Villabate, nonché funzionario di banca, oggi collabora con la giustizia. Nel suo curriculum anche il favoreggiamento alla latitanza di Bernardo Provenzano: Lui stesso gli fornì una carta d’identità falsa, un lasciapassare per le cure a Marsiglia.
Le fughe di notizie riguardavano anche Giuseppe Guttadauro e l’ingegnere Michele Aiello, il “re Mida” della sanità. Al 20 ottobre 2003 risale, infatti, un’intercettazione tra Cuffaro e Roberto Rotondo, dipendente di Aiello: “Tranquilizza l’ingegnere, a breve uscirà il tariffario”. Così Cuffaro avrebbe inserito nel tarriffario regionale le quote fornite dallo stesso ingegnere bagherese. “Avremmo dovuto continuare a pagare Aiello molto di più” Ha risposto poi Cuffaro ai giornalisti fuori dall’aula. Le tariffe delle prestazioni infatti risultavano 10 volte superiori al normale. Ma, nonostante l’abbassamento delle quote, dalle intercettazioni risulta che Cuffaro avrebbe comunque garantito un’aggiornamento, nei tre mesi successivi.
Clientelismo e malasanità che si traducono in assunzioni di medici e conferme di primari. E ancora, rapporti con Angelo Siino, Vincenzo Pipitone e Nino Giuffré. Quella che per Totò Cuffaro è più di una “forte fantasia”, per i pm risulta essere un insieme di rapporti prolungati ed eternogenei con Cosa Nostra, basati su “precise e convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, intercettazioni ambientali e telefoniche e testimonianze di soggetti vicini all’imputato, che non risultano provare astio nei suoi confronti”. E per difendersi, Cuffaro dovrà aspettare il 30 settembre, ma intanto professa la sua “fiducia nelle istituzioni e nella giustizia”.
Pubblicato il
28 Giugno 2010, 10:51