Al Pronto soccorso | con la mia nipotina

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13 Gennaio 2020, 12:59

3 min di lettura

Nei giorni scorsi, mentre il mondo era sull’orlo della guerra mondiale, qui in casa abbiamo avuto il nostro bel da fare. Un’emergenza che ha riguardato la mia nipotina di 15 mesi (ora è tutto ok) mi ha portato a conoscere il Pronto soccorso pediatrico dell’ospedale Cervello. Tra un primo accesso ed una dimissione, una ricaduta ed un nuovo accesso, avrò trascorso in quella sala di attesa qualcosa come 13-14 ore. Tutte notturne. Naturalmente in compagnia di mia moglie, la sola autorizzata a entrare all’interno del presidio, sia pure per qualche minuto, giusto il tempo di una breve turnazione con mia figlia e darle la possibilità, almeno, di andare in bagno. Hanno regole molto precise(le condivido) e una cortese, ma inflessibile guardia giurata, ne cura, e fa bene, la osservanza. Possono entrare solo i genitori dei piccoli pazienti.

Io ho svolto egregiamente il mio importantissimo ruolo di supporto logistico, tipo andare a prendere i pannolini che erano rimasti in macchina, oppure il peluche“Però quello che suona, mi raccomando”. Così recitava il whatsapp inviatomi da mia figlia.

Sono riuscito, neppure io so come, ad individuarlo subito, quello che suona, tra i tanti che erano stati riposti nel bagagliaio, raccattati alla rinfusa prima di fiondarci in ospedale. Avrò toccato casualmente qualche ingranaggio, ma non riuscivo a capire come farlo smettere, così sono rientrato col peluche che diffondeva la ninna nanna di Brahms. Nessun problema. La sala d’attesa era piena di bimbi. Chi tossiva con rumori e rantoli da far paura, febbroni da cavallo, problemi intestinali con annessi inconvenienti che non sto qui a dirvi. Chi piangeva e si agitava per non assumere quelle orribili pozioni da somministrare ogni 3 minuti “per riequilibrare i sali minerali”, o sciroppi di altro tipo- “prendilo a mamma, questo è alla fragola”- insomma tutti quei farmaci che i medici, dopo una prima diagnosi, prescrivevano in attesa di successivi controlli o dell’esito dei vari prelievi ed esami.

Meno male che c’è Youtube. Era lo stratagemma al quale ricorrevano tutte le mamme per rendere meno amara la medicina. Proprio così, i video su Youtube dai telefonini con tutte le filastrocche che impazzano a cominciare da Baby Shark dudududu. Si, lo so, il tema è di quelli sensibili, e molti aggrotteranno la fronte, magari anche a ragione. Ma lì, credetemi, Youtube consolava, curava, leniva, guariva.

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Ho visto, in quelle ore, mamme che entravano di corsa, visibilmente angosciate, con i piccoli avvolti nelle coperte come fagotti. Donne spesso sole, perché i papà erano rimasti a casa a badare agli altri figli, troppo piccoli per essere lasciati soli. In questi casi è la mamma che affronta l’ignoto. Lo pretende. Ne rivendica l’intangibile diritto. Non c’è discussione che tenga. Le ho viste, le mamme, sedute, in attesa del triage, tenendo stretti tra le braccia bambini impauriti, fermi, composti, esattamente….esattamente come noi adulti vorremmo che stessero al ristorante o in pizzeria, oppure in aereo. L’accostamento è assurdo, è un gioco perverso di prospettive furfanti, lo so bene. Ma serve a rendere l’idea.

Però, ho visto pure mamme che uscivano sorridenti, felici per le cure ricevute e le dimissioni. C’erano pure tanti papà e qualche nonno. Uno passeggiava tutto solo nel vialetto, nel gelo della notte. Come me. Ravanando nelle nostre tasche abbiamo racimolato le monetine per un caffè, uno, da dividerci. Poi ci siamo messi a parlare. Adesso so tutto dell’acetone dei bambini.

I nonni. Prendono la pensione, ma sono brave persone. Ho immaginato medici e infermieri, i loro visi. Non ne ho visto uno che fosse uno. Eppure c’erano. Il whatsapp di mia figlia, ad un certo punto, diceva “sta meglio, ha mangiato, ora gioca con gli altri bambini”. Gli stessi che, come lei, appena qualche ora prima non si reggevano in piedi. Per forza che c’erano medici ed infermieri. E pure bravi.

Allarme cessato. Si torna a casa.

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13 Gennaio 2020, 12:59

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