Alessandra e la Primavera - Live Sicilia

Alessandra e la Primavera

Nella camera ardente, allestita a Villa Niscemi per Alessandra Siragusa, c'è la città che un tempo ha sognato una 'Primavera' che sembrava possibile. Adesso che Alessandra non c'è più anche quell'idea di vivere attivamente gli spazi cittadini sembra tramontare insieme a lei.

PALERMO- In viaggio verso la camera ardente allestita per Alessandra Siragusa c’è la città che un giorno ha sognato di essere migliore. E sarebbe riduttivo scambiare integralmente la parabola umana di una donna dolce e caparbia per il cammino di Palermo, quando ancora sapeva credere e sperare. Ma le facce non mentono. Raccontano il doppio binario della stessa tragica scoperta. La Primavera è finita, nel senso dell’esperimento politico inventato da Leoluca Orlando, sindaco di rottura al suo primo mandato. Fu lui a dare un segnale di discontinuità col passato, portando al potere una nuova classe di giovani, quando ancora la parola ‘rottamazione’ aveva senso appena nelle officine specializzate.

Ma la Primavera appassisce e muore anche nella frontiera singola dei corpi. Lo dice qualcuno sulla panchina di villa Niscemi, epicentro della camera ardente: “Ogni tanto noi ci rivediamo. Comprendiamo di essere mutati. Abbiamo la pancia, i capelli bianchi. Noi donne almeno possiamo tingerli. Però la morte no. La morte è troppo”. Il racconto ha una duplice valenza pubblica e privata. Ci spiega il nostro limite. Subiamo la metamorfosi a malincuore, finché possiamo vederla, magari sotto la forma di una malattia improvvisa. Siamo vivi e tanto basta. La morte no. Pone fine a ogni abbraccio. Non rispetta niente.

E’ troppo convincersi del fatto che Alessandra è morta a cinquant’anni. Un’età che per i ventenni rappresenta la distanza di una vecchiaia già operativa. Per i quarantenni la stessa età è un bivio, il prossimo approdo. Non si pensa alla morte. Si pensa organizzare la vita, attenti a non sprecarla più.

Salendo le scale, si incontrano volti noti e meno noti. Molti sono ascrivibili a quell’era talmente dirompente da prendere il nome della stagione più rivoluzionaria. Dove sono gli altri? Qualcuno ci ha provato, con scarso successo. C’è chi si è ritirato dietro la soglia di una malinconica tranquillità domestica, rinverdendo il felice e tremendo motto di un intellettuale che asseriva di vivere a casa sua, non certo a Palermo. Ecco, è la chiave del discorso e della nostalgia. In una città che si nascondeva dentro i suoi confini, i ragazzi della Primavera provarono a uscire fuori. Leoluca Orlando fu il dominus incontrastato, l’inventore del marchio, il primo rottamatore. Ha avuto coraggio, qualunque sia il giudizio problematico delle sue azioni recenti, a tornare sulla scena.

Quello speciale coraggio della politica che è il suo peggior difetto e la sua migliore qualità: il cinismo obbligatorio di chi sa che la decalcomania di un sogno è sempre sfocata rispetto all’originale. Eppure, non è lecito abbandonare il campo, sapendo che amministrare significa deludere necessariamente e che la fantasia al potere è una pericolosa menzogna. Scrisse un poeta: “C’è qualcosa di infinitamente più pericoloso dei sogni di un bambino: i sogni di un uomo”.

C’è dunque il viaggio da compiere, scansando le proverbiali papere di villa Niscemi. Al primo piano c’è Alessandra, riconoscibile nella sua morte terrena, cioè diversa. Pure questo bisogna accettare con saggezza. Che la bellezza del corpo si rintani in un luogo dello spirito e della memoria, se il corpo diventa una cosa.

Perfino le parole sono cose, nel lento viaggio. Cose piene di vento. Le parole di cordoglio non si zittiscono. Si abbassano di mezza nota. Sussurrano in un brusio che via via lascia gli ornamenti del dolore, per scoprire la sua nuda sostanza. Eccolo, il dolore. Questo silenzio increspato di bisbigli esprime la speranza di noi viaggiatori, sulla strada tra Alessandra e il sole di una mattina d’inverno per lei clemente. L’incredibile speranza che la Primavera venga davvero un giorno. L’immortale speranza che non tramonti mai più.


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