Alessandro Impagnatiello, il mostro dell'incubo accanto

Alessandro Impagnatiello, il mostro dell’incubo accanto

Una lunga scia d'orrore. Anche in Sicilia.
FEMMINICIDIO
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Alessandro Impagnatiello è il mostro dell’incubo accanto. Leggiamo e scriviamo le cronache sul femminicidio della povera Giulia e non ci viene in mente altro. Un mostro, nel bozzolo di un’esistenza all’apparenza normale, che nasce al mondo come una farfalla sanguinaria. E si annuncia per l’orrore, con quell’aria imperturbabile di chi non sa distinguere, o di chi dissimula la propria ferocia. Ne abbiamo raccontati tanti di carnefici delle donne, quasi tutti accomunati da un gelido distacco. Quasi tutti incapaci di rendersi conto dell’abisso che avevano spalancato. Oppure capacissimi di fingere. Tutti, egualmente, imperdonabili. E così ci passa davanti agli occhi, come un incubo, questo mostro che quietamente si informa, online, su come si fa a uccidere e a occultare un cadavere, con la noncuranza di chi sfogli un qualunque manuale d’istruzioni. E poi ci chiediamo, angosciati, quanto sia distante da noi.

Infine, in questa via crucis dello spirito, ci vengono incontro, alla fine della violenza, le vittime. La fantasia che nasce dal dolore suggerisce una domanda dalle loro stesse labbra: perché? Non ci dormiamo intorno al punto interrogativo. Perché quegli occhi? Perché quei cuori? Perché quelle felicità mozzate? Perché quei corpi, quelle anime e quei sentimenti bruciati dalla perversione di un singolo milite di un ributtante esercito dell’odio? Li scorgiamo i volti degli assassini, altrove come in Sicilia: cosa mai avranno in comune?

Hanno in comune – la risposta è agghiacciante, ma chi può ne trovi un’altra, nella variabile declinazione dei casi – un’idea della compagna di viaggio funzionale ai loro bisogni, al loro ego, alle loro patologie, non estranea al mondo maschile. La visione arretrata e maniacale della donna come risposta all’esistenza di un maschio, non come colei che sta accanto, che offre e riceve vicinanza, per una scelta sempre regolata dalla libertà.

Così, quando quella libertà e quella vita prorompente decidono di volare diversamente, di praticare tutte le strade della propria sovranità, di porsi come termine di confronto ineludibile, di saldarsi o distinguersi in una rispettosa parità, di pretendere chiarezza, ecco che certi maschi tolgono il bozzolo al mostro e lo sprigionano nella forma di un incubo. La patologia, a quel punto, compie i suoi orribili effetti, ma dobbiamo avere il coraggio di dirlo: essa è lo sviluppo di qualcosa che esiste nel maschio residente presso ogni uomo. E tutto può essere cecità di possesso: volere accantonare senza spiegazioni, non concedere la verità, credere di disporre di una esperienza con il sotterfugio, considerare l’altra titolare di una non esistenza e distruggerla per renderla conforme alla propria bestialità.

Combattere quel maschio, ridurlo al silenzio, anche se, nella normalità, non sarà mai un mostro, è la battaglia decisiva. Lo dobbiamo alla nostra stessa umanità. Lo dobbiamo ai troppi sguardi sepolti. Lo dobbiamo al sorriso e alla fatica, con il sole e con la pioggia, dell’anima che, adesso, accompagniamo, con amore, nel viaggio. (Roberto Puglisi)


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