05 Maggio 2017, 06:04
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PALERMO– C’è una madonnina corrucciata e impolverata sul muro, forziere di preci e mani giunte, nel cuore del Capo. C’è una piazza, con qualche macchina. C’è una stanzetta, con un mezzo tavolo che dà sulla strada. Seduti, un uomo e una donna piangono. Sono un padre e una madre. Ripetono: “Ci hanno tolto la nostra bambina, non ci hanno permesso di baciarla”. Sulla credenza che campeggia dentro un unico locale, accanto all’orologio, la foto della figlia morta. Ecco Alessia, vegliata dalle rose, col sorriso dei suoi tredici anni.
Alessia Cintura è annegata qualche giorno fa, nel mare di Campofelice di Roccella. La ragazza era stata affidata a un’altra famiglia, non viveva più con i suoi, al Capo. Nicola Cintura e Cinzia Candela, il papà e la mamma, l’hanno rivista nella bara, al cimitero dei Rotoli, dopo avere chiesto invano di incontrarla da viva. Solo da morta, Alessia è tornata. Solo così hanno potuto riabbracciarla.
Ma non è il caso di affettare giudizi sommari con la lama di una risolutezza che nessuno può esibire. Ci sono ombre persistenti, sentimenti deragliati, legami fortissimi e coscienze tormentate nella trama di un distacco senza ritorni. C’è un’intimità strappata che gli avvocati che assistono i signori Cintura – Rosa Garofalo e Giuseppe Siino – ricostruiscono. E’, certo, una parte della verità. E va ascoltata.
La vicenda ha inizio nel gennaio del 2015, quando Alessia avrebbe confessato, in un bagno della scuola, a una compagnetta della quinta elementare, di avere fatto sesso con il fratello. La voce giunge alle orecchie della maestra che, giustamente, compie la sua segnalazione ai servizi sociali. Si mettono in moto due macchine: quella delle indagini e quella della tutela di una minorenne. Il Tribunale dei minori interviene subito; la ragazza entra in casa famiglia.
L’iter prosegue, inesorabile. Il procedimento penale per abusi si conclude in una bolla di sapone, il pm chiede l’archiviazione. L’ingranaggio dell’assistenza sociale va avanti lo stesso. Alessia Cintura trascorre un po’ di tempo in due strutture, successivamente viene affidata a una donna.
Ora, l’avvocato Garofalo pone domande che bruciano: “Perché a Cinzia e a Nicola non è stato permesso di vedere la figlia? Perché non è stato messo in piedi un progetto di genitorialità condivisa? Loro si sono preoccupati per lei. Per il suo compleanno le hanno mandato cibo e vestiti. Pur comprendendo le diverse problematiche che hanno condotto all’affido, non siamo riusciti a comprendere i motivi che impedissero un ripristino dei contatti anche in spazio neutro con la famiglia di origine, anche in considerazione della richiesta di archiviazione del procedimento a carico del fratello. Cosa può giustificare una separazione tanto netta e dolorosa?”. “Lavoriamo al caso da un anno – incalza l’avvocato Giuseppe Siino -, abbiamo cercato una soluzione che potesse andare bene. L’affido è una soluzione temporanea che dovrebbe coinvolgere tutti, in un percorso comune di sostegno e di educazione alla responsabilità. Perché non si è proceduto in questo senso?”.
Sull’altro braccio della bilancia, l’opera dei servizi e dei giudici che hanno verosimilmente ritenuto che Alessia dovesse rimanere ‘protetta’ nella sua nuova collocazione, dando parere negativo agli incontri. Fino all’epilogo del referto medico, con una scarna e tragica notizia: arresto cardiaco per annegamento. Alla ragazzina è risultato fatale quel tuffo nel mare di Campofelice. Le indagini ricostruiranno i fatti e il contesto.
Nicola e Cinzia, intanto, non hanno mai smesso di piangere. In quel catoio di piazzetta San Gregorio danno sfogo a una sofferenza che si confonde con la rabbia. “Mia figlia non ci aveva dimenticati”, grida Cinzia, mostrando dei messaggi social scambiati con Alessia e memorizzati nel telefonino. Risalgono alla Pasqua scorsa. Si legge: ‘Tvb mamma, mi manchi’. “Perché mi avrebbe scritto così se non pensava più a me?”. Non smette di urlare una madre disperata, si accascia e sviene. La rianimano con uno spruzzo d’acqua sul viso. Un coro dolente di vicini provvede alle necessità. Chi fa la spesa. Chi soccorre. Chi conforta. “Siamo amici da una vita, Alessiuccia correva e rideva. L’ho vista crescere”, rammenta Lucia.
Nicola lavora saltuariamente, trasportando bombole. Esce la mattina, torna la sera tardi. Ha pure una bancarella precaria presso un mercatino rionale. Con Cinzia si sono conosciuti, da bambini, in un istituto. Si sono messi insieme, per non lasciarsi più. Questo padre disperato ha scattato col cellulare un riflesso straziante di Alessia nella camera mortuaria dei Rotoli. A intermittenza, fissa il display, come se volesse accarezzarla in eterno. “Siamo vittime di un’ingiustizia – dice Nicola – ci hanno tolto la nostra bambina, l’hanno tolta al suo papà e alla sua mamma. Tra pochi giorni, avrebbe festeggiato gli anni. Invece non c’è più”. Ed è, certo, solo una parte della verità, quella in cui le lacrime annebbiano i pensieri.
E questa è la storia della gioia spezzata di Alessia, che tanti credevano di conoscere e chissà se la conoscevano davvero. Suo padre e sua madre erano convinti che solo restando insieme sarebbe stata felice. Altri hanno ritenuto che la serenità di una tredicenne sarebbe stata garantita meglio altrove. Una volta, nel corso di una chiacchierata con lo psicologo, gliel’avevano pure domandato. Le avevano messo un foglio bianco davanti: “Alessia, disegnaci la tua felicità”. Lei era rimasta muta, aveva posato un mozzicone di matita sul tavolo, senza accennare nemmeno un tratto.
Ora, di questa bambina che pare addormentata nell’ultimo scatto sul cellulare di suo padre, si annotano frammenti che feriscono in profondità. Qualche foto nel suo profilo facebook. Una camminata su una spiaggia di ciottoli neri, con un cane, nell’album della donna che l’aveva accolta e che starà versando le sue lacrime. Lo stemma della Juventus. Un albero di Natale agghindato. Cuoricini. Tremori adolescenziali. Una breve presentazione: “Sono Alessia e gioco a calcetto”.
E c’è quel sorriso sulla credenza di papà e mamma, nell’incastro delle memorie Un germoglio incerto, come una piccola felicità che vorrebbe dire qualcosa, ma poi si spegne. Come una matita che vorrebbe disegnare, ma poi si ferma con i suoi desideri inespressi, perché, ancora prima di cominciare, si è già confusa, si è già smarrita nel bianco di un foglio troppo grande.
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05 Maggio 2017, 06:04