Alla mafia il 2,5 per cento del pil| L'area grigia ha il ruolo centrale - Live Sicilia

Alla mafia il 2,5 per cento del pil| L’area grigia ha il ruolo centrale

La ricerca della fondazione Res
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Parlando di economia si tende, sempre più spesso, ad aggiungere un aggettivo per potere delineare meglio il campo di riflessione. Una delle distinzioni più ricorrenti è quella tra economia “legale” o “sana” ed economia “sommersa”, “criminale”. Negli ultimi anni però “sono diventati molto più opachi e porosi i confini tra mercati legali e illegali: non si tratta di una mera estensione dell’area dell’illecito nel lecito, quanto di una commistione tra le due aree”. E’ quanto emerge dalla ricerca della Fondazione Res su “Alleanze nell’ombra. Mafie e economie locali in Sicilia e nel Mezzogiorno”.

La ricerca (condotta con metodi sia quantitativi sia qualitativi) si è concentrata sulle mafie tradizionali – Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra – e sui territori di insediamento storico del fenomeno. Tre gli obiettivi: analizzare e interpretare le diverse forme di compenetrazione tra mafie e economie locali,chiarendo le spinte che alimentano queste relazioni perverse; mettere a fuoco la cruciale intermediazione di un’“area grigia”; contribuire a mettere a punto più efficaci azioni di contrasto in termini di politiche e di strumenti, ma anche ad accrescere la consapevolezza della società civile, del mondo delle professioni, dell’associazionismo, dei media.

“Nella ricerca – si legge – si è cercato di produrre una stima dei costi economici, diretti e indiretti, della presenza mafiosa nei diversi territori, con riferimento ad alcuni reati specifici e ad altri indicatori (beni confiscati, scioglimento delle amministrazioni comunali). Pur con i limiti che un’operazione di questo tipo inevitabilmente presenta, tali costi raggiungono – nelle zone ad alta densità mafiosa – una percentuale in rapporto al Pil superiore al 2,5%, con un picco vicino al 3% in Campania”.

Dallo studio emerge che le mafie si muovono su due direzioni: da un lato c’e’ una crescente capacità di inserirsi nelle attività economiche formalmente legali, dall’altro si mantengono i business illeciti più “tradizionali”. “Esistono – spiega la ricerca – differenze importanti per quanto riguarda i settori di attività: alcuni rientrano nell’orbita tradizionale della criminalità (commercio, edilizia); altri sembrano essere oggetto di più recente sviluppo e interessamento (sale da gioco, rifiuti, energie alternative); alcuni sono stimolati dalla possibilità di intercettare flussi cospicui di risorse pubbliche (sanità), altri vanno oltre la dimensione locale del business, intervenendo nei mercati finanziari o in quelli dello smaltimento dei rifiuti speciali. E’ possibile sostenere che i mafiosi continuano a privilegiare investimenti in settori ‘protetti’, ossia legati a forme di regolazione pubblica, caratterizzati da concorrenza ridotta e, spesso, da situazioni di rendita. Risulta quindi fortemente ridimensionata l’immagine – ampiamente veicolata dai mass media – dei mafiosi come operatori economici dalle spiccate capacità imprenditoriali: in realtà, essi continuano a fare affari soprattutto in settori tradizionali e, anche quando allargano il raggio di azione verso settori più ‘nuovi’, raramente si contraddistinguono per particolari abilità manageriali, tecniche e finanziarie”.

Altro spunto di riflessione fornito dalla ricerca della Fondazione Res è il comportamento degli operatori economici perché “in un contesto diventato sempre più difficile dal punto di vista economico, una schiera crescente di imprenditori cerca forme di adattamento attraverso accordi e accomodamenti di tipo collusivo con il potere politico e nelle zone di mafia con il potere mafioso”. Per la Fondazione “si potrebbe, forse, parlare di una forma di capitalismo politico-criminale, dove gli scambi occulti e gli accordi collusivi diventano un modo per restare sul mercato o per sopravvivere economicamente. Si tratta, indubbiamente, di un meccanismo patologico per assorbire gli shock esterni o realizzare processi di risanamento degli squilibri. Esso trova però un terreno molto favorevole nei comitati di affari e nelle cordate affaristico-clientelari, che percepiscono opportunità di crescita o di rendita sapendo di poter contare sulle competenze di illegalità offerte dalla mafia”.

Da qui l’importanza della cosiddetta “area grigia” composta non dai mafiosi veri e propri ma tutti coloro i quali – politici, imprenditori, burocrati – fungono da intermediari con gli esponenti della criminalità. Un “dialogo” che può assumere diverse forme andando dalla complicità (uno scambio economico limitato nel tempo e nei contenuti) alla collusione (un modello di relazioni in cui mafiosi e altri attori si mettono d’accordo per svolgere affari in comune) e alla compenetrazione (con rapporti organici e legami di identificazione con i mafiosi). Ed è proprio la consistenza sempre maggiore di quest’area grigia che nel lungo termine scoraggia la formazione di un’imprenditorialità socialmente responsabile, alimenta l’economia illegale; limita l’ingresso di nuove imprese e indirizzano flussi di spesa pubblica verso attività assistite o poco produttive.

Paradossalmente però è proprio contro l’area grigia che lo Stato sembra non avere mezzi adeguati di contrasto, sia legislativi sia giudiziari. “Sarebbe opportuno – si legge nella ricerca – dare seguito alla proposta di istituire non solo delle black lists di imprese da escludere da lavori e forniture banditi da enti pubblici, ma anche delle white lists, che comprendono aziende che hanno formalmente tutti i requisiti, alle quali si dovrebbero offrire incentivi o corsie preferenziali nell’aggiudicazione di opere e servizi pubblici”. Sarebbe poi opportuno “incrementare risorse specifiche di intelligence piuttosto che aumentare genericamente il numero delle forze dell’ordine sul territorio”.

L’area grigia richiama infine il problema più generale delle politiche pubbliche. “E’ importante – conclude la ricerca – stimolare e sostenere la mobilitazione della società civile, non solo in generale sul tema della lotta alla criminalità organizzata, ma più specificamente sul ruolo cruciale dell’area grigia e sulla penetrazione crescente delleorganizzazioni mafiose nell’economia formalmente legale. C’è un ritardo forte su questo terreno delicato che tocca il nodo cruciale di connivenza attiva o di accettazione passiva di componenti consistenti delle classi dirigenti. Un ritardo che coinvolge strutture importanti come la Chiesa, la scuola, i media”.


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