13 Febbraio 2014, 06:01
3 min di lettura
CATANIA – “Quel giorno mi chiamarono sul mio cellullare a distanza di pochi minuti per ben tre volte. Mi dissero di preparare 100 milioni altrimenti avrebbero fatto saltare in aria la mia concessionaria”. A raccontare minacce e intimidazioni è un imprenditore sentito come testimone nel processo d’Appello “Atlantide” al clan mafioso catanese dei “Pillera-Puntina-Di Mauro”. L’inchiesta della Squadra Mobile, scaturita nel 2006, che in primo grado si concluse con diverse assoluzioni, fece emergere alcuni inquietanti interrogativi sull’esistenza stessa dello storico sodalizio mafioso catanese, noto agli inquirenti fin dalla guerra di mafia degli anni ’90 per le sue capacità imprenditoriali ed economiche. Trascorsi tre anni il ricorso della Procura di Catania ha dato il via al processo d’Appello con l’accusa rappresentata in aula dal Sostituto Procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia, Giovanella Scaminaci.
Quelli tra il 1999 e il 2004 per il testimone furono anni passati tra il rinvenimento di bombe carta, taniche di benzina ma anche proiettili. Al centro dell’attenzione e forse anche della rivalità tra clan c’erano le sue concessionarie aperte tra le città di Siracusa e Catania: “Non si presentò mai nessuno – spiega – a chiedere soldi personalmente”. Qualche richiesta tuttavia c’era, ma di altra natura. Da coloro che si annunciavano come appartenenti al clan Santapaola fino a chi forte di “alcune raccomandazioni politiche” chiedevano all’imprenditore una via privilegiata per accaparrarsi ricambi e modelli di moto all’ultimo grido. Durante il dibattimento il teste ha anche ripercorso una delle intimidazioni più cruente che però decise di non denunciare perché ritenuta collegata alla sua vita sociale bollata come “un po’ movimentata”. “Stavo percorrendo – racconta – la statale 114 tra Augusta e Catania quando mentre eravamo incolonnati mi affiancò una moto con due uomini a bordo che spararono nella parte posteriore dell’auto”. Le ultime minacce arrivarono a cavallo del 2004 con alcuni attentati incendiari ad auto e saracinesche dopo un periodo trascorso da latitante tra il 2001 e il 2002 per un ordine di carcerazione, poi annullato con l’assoluzione piena in un processo in cui venne coinvolto. L’uomo che in passato ha pure gestito una note discoteca catanese tuttavia, secondo quanto affermato in aula, quei soldi chiesti al telefono non li preparò mai né tantomeno cercò qualcuno perché “non avevo intenzione di pagare”.
Nel processo, in cui le accuse a vario titolo sono quelle di associazione di stampo mafioso, estorsione, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, usura e detenzione abusiva di armi ci sono 14 imputati. Nomi di spicco tra cui Corrado Favara indicato dal pentito Lo Puzzo come uno dei superkiller delle cosche catanesi, Silvio Battaglia, ritenuto gravitante nell’orbita dei Pillera-Puntina, il boss “depresso” Giacomo Nuccio Ieni “Martuffo”, cugino di Favara scarcerato per “gravi motivi di salute” e messo agli arresti domiciliari dal giudice Filippo Milazzo della terza sezione penale nel 2009 salvo poi tornare in carcere nel 2010 dopo la pronuncia della Cassazione. Nel lungo elenco c’è anche Riccardo Romano Di Mauro, ritenuto dagli inquirenti inserito nella scala gerarchica del clan con una posizione di rilievo. Nel processo d’Appello a tornare a testimoniare saranno anche i collaboratori di giustizia.
Pubblicato il
13 Febbraio 2014, 06:01