Cronaca

All’Orfeo a vedere John Wayne, poi vennero le luci rosse

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22 Dicembre 2020, 19:03

4 min di lettura

PALERMO- Vi è mai capitato di entrare in un cinema a luci rosse? A me sì. Erano gli anni Novanta e il mio giornale di allora mi chiese un reportage dal fronte del porno. Ovviamente, quando racconto che fu per causa di servizio, non ci crede nessuno. Entrai, tralasciando i particolari, e mi trovai al cospetto di una moltitudine di uomini soli, rannicchiati sulle sedie, nell’oscurità, attraversata, di tanto in tanto, dalla luce della torcia del gestore. Una solitudine di anime davanti allo schermo, non troppo dissimile da tante delle nostre solitudini, in fondo. Solo che era condivisa e accettata come esperienza collettiva che non prevedeva riscatto. Non si sentivano meno soli, per essere in compagnia, sapevano di esserlo. Ognuno si specchiava, sbirciando il vicino di poltrona.

Orfeo, la chiusura annunciata

Mi è tornata in mente la storia, apprendendo della chiusura del cinema Orfeo, a Palermo, in via Maqueda, che ha ammainato la sua scarlatta bandiera di ultimo locale cittadino a luci rosse. L’annuncio in una lapidaria agenzia: ‘Il cinema Orfeo, l’ultimo cinema a luci rosse di Palermo, non riaprirà più i battenti. Era riuscito a resistere anche all’avvento delle prime videocassette hard e alla diffusione del porno via internet. Il Covid è stato il colpo finale. Da mesi le saracinesche dei locali di via Maqueda era abbassate. Ora c’è anche il cartello affittasi’. Lo spazio è in offerta e magari sarà aggiudicato a un fruttivendolo che venderà rossissimi pomodori, per contrappasso. Quando muore un cinema, qualunque sia l’immaginario, si può appena stappare la bottiglia dell’amarcord per vedere fluttuare, in forma di bollicine di memoria, i volti di coloro che abitavano dalle due parti dello schermo: quelli che comunque sognavano e quelli che erano sognati.

“Ma io ci ho visto John Wayne”

Racconta il maestro Daniele Billitteri, narratore di epopee: “All’inizio l’Orfeo era un cinema di terza visione, io abitavo lì vicino e ci ho visto ‘I magnifici sette’, John Wayne, più altre pellicole, fino a metà degli anni Settanta. Il film che arrivava lì era stato in prima visione per un anno, un anno e mezzo, oppure non c’era mai passato. Davano anche tanti B movie. Poi venne il porno, poi vennero le luci rosse. L’Orfeo fu uno dei primi a compiere questa scelta, alla quale aderirono altri locali. Era, inizialmente, all’epoca dei western, un cinema proletario, frequentato dagli operai, dai figli del popolo, con accanto il bar. C’era un personaggio leggendario che preparava delle meravigliose ‘cubarde inciminate‘, cose della mia generazione. In platea, la gente partecipava, tifava. E quando entrava in scena, nella pellicola, il cattivo, c’era sempre qualcuno che si alzava e gli faceva le corna. E glielo diceva pure, nel caso non fosse chiaro: ‘”Sì curnutu!’“.

Luci rosse di ieri: e oggi?

Insomma, partecipavano, meglio, molto meglio, del finto entusiasmo degli impiegati, costretti a rimirare la famosa corazzata, con in testa il povero Fantozzi. Infine, il mercato suggerì una svolta e venne davvero il fronte del porno. Inizialmente, come ritrovo, anche goliardico, di una umanità varia. Ma già negli anni Novanta, con l’avvento di un marketing alternativo tra telefonini e web, il cineporno raccoglieva essenzialmente uomini in età, poco avvezzi alla tecnologia, oppure talmente esclusi da ricercare un respiro umano perfino nei palpiti, malamente recitati, dell’ininfluente trama.

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Cosa dice la psicologa

La dottoressa Marisa Cottone, psicologa e psicoterapeuta, a riguardo, avverte: “Io sarei dell’idea che si possa parlare anche di pornografia, salvo casi specifici, senza connotarla in termini necessariamente trasgressivi o degenerati. Ma come appunto di una produzione riferita all’eros, alle diverse forme che può assumere la sessualità. E che quindi per una perdita di un cinema come l’Orfeo su cui abbiamo riso e irriso i nostri compagni tutti noi coetanei, forse faremmo bene a fare un passo indietro, considerato che la cessazione di esistere di luoghi come questo, per le persone che non vivono una sessualità genitale in senso maturo, pieno, relazionale, può nascondere questa stessa entro un confine occultato o coatto che di fatto finisce per amplificare e distorcere quella che è una naturale pulsione di vita, che dovremmo decidere di far diventare condizione di cui parlare, anche attraverso una vera e propria educazione sessuale, legandola ad una affettività”. Uscire, cioè, dall’oscurità, dalla suggestione del buio e dalle migliaia di possibilità che la tecnica offre alla pornografia solitaria per discutere da grandi di cose da grandi, sesso compreso. Non sarebbe una crescita, suggerisce la psicologa?

Quel giorno tra i viali del porno

Quel giorno del reportage nel fronte del porno non fu affatto semplice. Alla fine delle proiezioni, proprio sull’uscio, fui beccato da un paio di prozie, dal parroco, ancorché fuori zona, dalla prof di religione delle medie e dai vicini di casa di quando ero chierichetto. Cercai di spiegare che ero lì, appunto, per lavoro. Non fui ritenuto credibile. In redazione, qualche giorno dopo, un collega più esperto si avvicinò con aria cospiratrice. E disse: “I gestori hanno letto il tuo articolo e si sono arrabbiati, non ci andare per ora”. Risposi, con l’aria di un aristocratico disturbato nell’ora della caccia alla volpe: “Ma io non frequento luoghi siffatti”. Il mio collega mi fissò e sospirò: “Va bene, ma tu non ci andare”. Nemmeno lui mi aveva creduto.

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22 Dicembre 2020, 19:03

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