27 Ottobre 2024, 19:05
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PALERMO – Chissà come avrà reagito e quanto forte avrà battuto il cuore dei primi occhi che sono entrati nella casa-mattatoio, nella villetta dell’orrore di Altavilla Milicia, sede di una strage familiare dai contorni giudiziari in fase di definizione e dall’impatto estremo.
Il primo essere umano in uniforme che ha guardato le stanze del massacro era sicuramente un professionista, qualcuno consapevole dei lati crudeli di un lavoro che ti costringe a raccogliere cocci umani, in arene piene di sangue. Ma quello ‘spettacolo’ sarà stato davvero troppo anche per un professionista allenato a tutto. Perché lo scempio di Altavilla era e resta più di tutto.
Anche noi, approdati parzialmente all’inferno – nella luna parallela di urla e lamenti – con le foto che abbiamo pubblicato e col racconto del nostro Riccardo Lo Verso, ci siamo sentiti prede di un vortice di follia. Sbirciamo, da una scrivania sicura, il divano, i tavoli, le suppellettili, gli spazi sottosopra, immaginiamo i corpi e la violenza. La madre e il figlio più piccolo atrocemente torturati, poi l’altro figlio. Le vittime confuse con i carnefici in un tragico caleidoscopio. I nomi, più volte appesi alla cronaca, dispersi.
Daniele La Barbera, psichiatra palermitano, professore universitario, primario, è ‘l’indagatore dell’incubo’ a cui ricorriamo spesso per la sua lucidità di pensiero che mai abbandona l’empatia.
“Il terribile caso di Altavilla – dice – denota una vicenda di intrecci fra il pensiero psicotico dominante, nella vita di una famiglia, unito a una suggestione esoterica e a una aberrante passione religiosa distorta. Un giudizio che avevo dato a caldo e che credo di potere confermare, osservando le fotografie, con sgomento”.
“Cosa può essere successo? In un contesto del genere – continua il professore – prevale lo scollamento dalla realtà, in cui assistiamo al collasso di ogni dimensione normale, a cominciare dalla consapevolezza del rapporto tra il bene e il male. Perfino infliggere sofferenza a un parente non crea problemi”.
“Le convinzioni di un soggetto psicotico prevalgono e si impongono. Così, anche per una figlia o per un marito può diventare normale picchiare e torturare una madre e una moglie, è logico infierire. Infierisco perché credo, follemente, di uccidere il demonio, in un rito di liberazione, questo è il percorso aberrante. Naturalmente – chiarisce lo psichiatra – parlo per ciò che ho potuto ricostruire dalla lettura dei giornali. Non conosco gli atti del processo e non posso pronunciarmi dal punto di vista giudiziario di chi dovrà ricostruire le precise responsabilità”.
Anche le immagini sono nitide, nello scatto del dopo, ma lasciano soltanto intendere l’indicibile del prima. E quegli attrezzi da cucina, allineati, defraudati del ruolo naturale – le padelle brandite come armi – sono un pugno in faccia. Perdi i sensi ti risvegli in un mondo capovolto.
“Ho l’impressione – conclude il professore – che la coppia esterna potrebbe avere funzionato da rinforzo. Lo affermo sempre da lontano, per le cose che ho letto e che ho visto, con la cautela di chi non deve decidere. La figlia mi pare una delle vittime principali, nonostante risulti pesantemente coinvolta nelle accuse. Se arriverà a capire quello che è accaduto, dovrà fare i conti con sensi di colpa inauditi. La verità, per lei, sarà una mazzata tremenda”.
Le esperienze nella villetta della strage resteranno marchiate a fuoco. Ci sono nomi, identità e biografie in questa pazzia di confini oltrepassati. Ma non contano e si disperdono, nel vortice di un orrore supremo.
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27 Ottobre 2024, 19:05