Amanda, una storia palermitana - Live Sicilia

Amanda, una storia palermitana

Le giuste sentenze e il carcere
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(R.P.) Guardando Amanda Knox, uno si chiede: e se fosse brutta, grassa e palermitana? E se non avesse il suo ricco corredo americano alle spalle, con l’esercito di fan accreditati che si sono battuti per lei?
Ci sono enigmi intrecciati in quel sorriso di liberazione, c’è il dubbio supremo e sostanziale. Ci sono domande che irritano il buonsenso. La prima è la più elementare e riguarda il polso malandato della giustizia. Ha ragione Vittorio Zucconi quando scrive che è stato pur sempre un giudice a firmare l’epilogo del “lieto fine”. Ma, retrocedendo di frammento in frammento, si rintracciano i riflessi scuri della fiaba della bella americana restituita all’affetto di mamma e papà. Se un magistrato ha avuto ragione ora, un altro ha avuto torto ieri.

Secondo i benpensanti è una garanzia del sistema che sa ammettere i suoi sbagli. Purtroppo, in mezzo, ci sono anni di galera. C’è lo scandalo di carcerazioni preventive e assurde che sfiorano il caso in specie – aspettando la sentenza definitiva – e allargano la visuale sul tetro panorama delle prigioni italiane e siciliane. Le cosiddette garanzie della giustizia mal si accordano con le condizioni di detenzione del regime carcerario. L’ombra accecante di una colpevolezza frettolosa e il tenue chiarore di una innocenza sempre presunta, fino all’ultimo timbro, non sono coerenti rispetto al tempo che fa invariabilmente dietro le sbarre. La fallibilità degli uomini in toga non rende meno orribile la certezza della tortura che si commina negli istituti di pena, specialmente di questa terra.

Alla luce della friabilità di una valutazione che può essere capovolta in sedi successive, anche le battaglie quasi solitarie che Livesicilia ha portato avanti sulle nostre prigioni acquistano un senso diverso. A ben guardare c’è un filo che lega le lacrime di Amanda e l’ultimo detenuto palermitano dell’Ucciardone e l’agnello sacrificale che adesso sta scontando una condanna forse immeritata. Per la sua unica e massima colpa: non chiamarsi Amanda.


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