04 Marzo 2015, 15:23
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PALERMO – “… a livello stragista … voleva ritornare ai vecchi sistemi… chiunque abbia la divisa si fa fuori, carabinieri, polizia… basta….”. Doveva essere una carneficina di rappresentanti delle forze dell’ordine. Una reazione a colpi di piombo contro lo Stato per la durezza del regime carcerario.
Antonino Zarcone, boss pentito di Bagheria, svela i piani di morte della mafia della provincia di Palermo. Perché era a Misilmeri che si erano messi in testa di alzare il tiro. L’inquietante retroscena viene fuori dall’inchiesta dei carabinieri del Reparto operativo e del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Palermo che oggi ha portato al fermo di sette persone considerate i nuovi capi del mandamento di Misilmeri-Belmonte Mezzagno. Il padrino oggi sarebbe Giuseppe Vasta, 65 anni, subentrato a Francesco Lo Gerfo, arrestato tre anni anni fa e condannato di recente a 18 anni di carcere. Secondo Zarcone, sarebbe stato Lo Gerfo la mente del piano di morte. Prima di finire in cella, racconta il pentito, stava cercando di coinvolgere gli esponenti di altri mandamenti mafiosi. Per organizzare omicidi eccellenti ci voleva un ampio consenso.
“Il Franco (Lo Gerfo ndr) lamentava sta situazione di stu maltrattamento dicendogli a Tonino Messicati Vitale (boss di Villabate pure lui arrestato nei mesi scorsi) – mette a verbale a Zarcone – che le autorità si stavano prendendo ormai troppo lusso diciamo… ha una mentalità lui molto… non dico antica, però… a livello stragista… voleva ritornare ai vecchi sistemi – prosegue il racconto -, e di iniziare a reagire perché non si poteva più sopportare una situazione del genere, e di avere questi soprusi nelle forze dell’ordine… che lui su Misilmeri, nel suo mandamento, dice, bisogna reagire, se siamo d’accordo, ogni mandamento.., dice a caso, a caso a chiunque abbia la divisa si fa fuori, carabinieri, polizia … basta … a caso… na cosa a caso… dice… che iniziate a fare dei segnali pesanti … e più a una guardia penitenziaria direttamente su Palermo”. Sembrerebbe, dunque, che un “secondino” era già vittima designata.
Scenari inquietanti. Gli investigatori si chiedono se l’arresto di Lo Gerfo abbia bloccato i piani di morte oppure se qualcun altro sia stato pronto ad intestarsi la reazione violenta allo Stato. Inevitabile che ci si concentri sulla figura di Vasta che di Lo Gerfo sarebbe il successore. Vasta ha finito di scontare una condanna per mafia nel 2006. Di lui, andando indietro nel tempo, parlava già nel 1997 il pentito Angelo Siino, indicandolo come uno dei partecipanti ad una riunione con tanto di “mangiata”, come tradizione di mafia vuole, avvenuta a San Giuseppe Jato. Tra i presenti anche Giovanni Brusca che allora non era il pentito di oggi, ma una pedina fondamentale dell’ala stragista di Cosa nostra.
Negli ultimi anni Vasta è stato filmato mentre incontrava, in più occasioni, Pietro Formoso, un sorvegliato speciale già condannato che sarebbe stato di nuovo arrestato nel dicembre di due anni fa. Formoso è fratello di Giovanni e Tommaso, condannati all’ergastolo per l’eccidio avvenuto di via Palestro a Milano. Nella notte fra il 27 e il 28 luglio 1993 esplode una bomba davanti al Pac, il padiglione di arte contemporanea. Morirono 5 persone. Dunque anche in questo caso le indagini finiscono per incrociare la storia stragista di Cosa nostra. Agli inquirenti il compito di verificare se si tratti solo di una coincidenza. Di certo ci sono le inquietanti dichiarazioni di Zarcone: la mafia voleva reagire allo Stato ammazzando dei rappresentanti delle forze dell’ordine.
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04 Marzo 2015, 15:23