Sorridono Crocetta e il Pd | Centrodestra e grillini: tracollo

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11 Giugno 2013, 10:17

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PALERMO – Per raccontare la storia di queste Amministrative, che si delinea voto dopo voto, si potrebbe provare a cominciare da chi ha perso. Una sconfitta che porta con sé i segni di una svolta storica, epocale. La Sicilia non è più la terra del centrodestra. Il granaio di voti moderati, come amava dire qualcuno. Il luogo impresso nella mitologia di un 61-0 sventolato in faccia agli avversari come il segno di una potenza impossibile da scalfire.

E invece. Prima le elezioni regionali hanno consegnato al centrosinistra della “rivoluzione” crocettiana le chiavi di Palazzo d’Orleans. Quindi, le elezioni comunali hanno affidato alla storia recente della politica siciliana un dato inoppugnabile. La Sicilia diventa una “Regione rossa”. Una regione di centrosinistra.

Basta dare un’occhiata ai risultati dei quattro capoluoghi di provincia. A prescindere dal fatto che la vittoria si sia materializzata al primo turno, o che per l’ufficialità dovrà servire un ulteriore passaggio elettorale, resta il fatto che a Catania Stancanelli si è fermato a una distanza di oltre 15 punti percentuali da Enzo Bianco che ha strappato la città agli azzurri dopo 13 anni di regno Scapagnini-Stancanelli. A Messina il centrodestra s’è piazzato persino dietro due candidati di sinistra (Calabrò e il pacifista no-ponte Accorinti), a Ragusa al ballottaggio contro il candidato di Pd, Megafono e Udc Giovanni Cosentini è finito un candidato del Movimento cinque stelle (Federico Piccitto), e a Siracusa l’aspirante giunto allo “spareggio” insieme a Giancarlo Garozzo del centrosinistra non è quello “ufficiale” del centrodestra di Stefania Prestigiacomo, bensì quello sostenuto da un dissidente, sospeso dal partito, come Vincenzo Vinciullo. Insomma, nei grossi comuni il centrodestra di Alfano e Berlusconi, non esiste.

L’altra faccia della sconfitta è quella grintosa di Beppe Grillo. Il Movimento cinque stelle ha pagato il conto salato di una gestione quantomeno “discutibile” dell’ingresso nella politica vera del parlamento nazionale. I territori, insomma, hanno raccolto le contraddizioni dei grillini, e le hanno tramutate in un voto che profuma di diffidenza e in molti casi, forse, di delusione. I siciliani dei Comuni hanno preferito la “vecchia politica” alla proposta del Movimento che, escluso il caso di Ragusa, nei Comuni più grandi dell’Isola, tranne qualche rarissima eccezione, si è fermato a percentuali che oscillano tra il 3 e il 6%. Davvero poco, per chi aveva proposto di innescare uno Tsunami. E che in effetti aveva messo sottosopra la politica isolana (oltre che nazionale) prima alle amministrative palermitane, quindi alle Regionali. Adesso, dopo gli screzi, gli abbandoni e le cacciate, dopo le invettive contro istituzioni, militanti, amici, nemici e giornalisti, ai grillini toccherà vedersela con i numeri.

Numeri che sorridono a qualcun altro. Rosario Crocetta ha dimostrato fiuto politico. Da qualche settimana, infatti, gradualmente ha allontanato dall’immaginario dell’opinione pubblica le suggestioni del “Modello Sicilia”. Molto utile all’inizio dell’anno, per lanciare l’idea di un governo davvero di rottura, pronto a dialogare con l’antipolitica, più che con la politica. Molto meno utile negli ultimi tempi, in cui il Movimento è stato criticato persino dall’interno. Così Crocetta si è defilato da quel modello. A poco a poco. “Il calo in Sicilia del Movimento 5 stelle – spiega il governatore – è responsabilità delle scelte di Grillo a livello nazionale che ha deluso parte dell’elettorato quando ha impedito la formazione di un governo di centrosinistra nazionale più che dall’operato del movimento regionale”. Una ricostruzione che, tutto sommato, sembra reggere. Movimento cinque stelle e Popolo delle libertà sembrano essere oggetto dello stesso “incantesimo”: i leader, questa volta, per un motivo o per un altro, non hanno trainato i partiti. E nei territori hanno vinto le forze maggiormente “strutturate”. Meno legate al carattere carismatico delle loro guide.

Ma al di là delle persone, o delle distinte identità politiche, a vincere questa tornata elettorale è stata una coalizione. Un progetto di alleanza, apparentemente densa di contraddizioni. Ma che in queste elezioni ha rappresentato una certezza. Il Pd, il Megafono e l’Udc, nei Comuni in cui hanno corso insieme hanno ottenuto sempre risultati positivi. Ma la contrapposizione tra i due partiti di centrosinistra (nessuno s’offenderà se definiamo così anche il movimento del governatore) c’è stata, eccome. Nonostante a urne ancora calde, sia Rosario Crocetta che Beppe Lumia abbiano voluto sottolineare la complementarietà delle due forze politiche. Che però se le sono suonate un po’ in giro per la Sicilia. Da Castellammare del golfo dove Pd e Megafono, se avessero corso insieme, avrebbero ottenuto oltre il 60% dei voti, all’Ennese, dove è andata di scena la lotta intestina tra il Pd di Crisafulli e il movimento del presidente. A Leonforte meglio il Megafono, a Piazza Armerina meglio il Pd. Intanto, in vista dei possibili nuovi equilibri nella giunta Crocetta, non passerà inosservato il dato di Articolo 4, la nuova formazione politica di Lino Leanza e Luca Sammartino, capace di sforare quota 10% a Catania.

L’Udc, dal canto suo, ha provato a giocare un po’ “tra le linee”, libero da schemi rigidi. Ma non sempre gli è andata bene. Nonostante il vicesegretario Nicola d’Agostino si sia affrettato a sottolineare come “dal voto siciliano sia emersa un’Udc rafforzata, in grado di rappresentare l’unico vero valore aggiunto di una coalizione di centrosinistra tradizionale dalla quale resta distinta”. Un “credito” da giocarsi anche in chiave regionale. “Il risultato conferma la necessità di aprire, – precisa D’Agostino – dopo il ballottaggio, una discussione per consolidare le ragioni dell’alleanza e rilanciare l’azione amministrativa del governo regionale”. Concetti rilanciati dal segretario Cesa. Ma la richiesta di un rimpasto, ampiamente annunciata dall’Udc, potrebbe scontrarsi con altre valutazioni. E’ vero, infatti, che l’Udc ha contribuito alla vittoria della coalizione di centrosinistra in molti Comuni, ma è anche vero che nelle occasioni in cui i centristi hanno cercato conforto in coalizioni di colore diverso,il risultato non sia stato altrettanto soddisfacente. È il caso di Siracusa, dove il tentativo di tornare a un’alleanza antica col Pdl non ha consentito a Edy Bandiera di raggiungere nemmeno il ballottaggio. E, in parte, situazione simile a Partinico, dove anche Enzo Briganò, che ha deciso di correre accompagnato da alcune liste civiche, dovrà rinunciare già al primo turno alla speranza di diventare sindaco. Insomma, l’Udc è indispensabile alla coalizione di centrosinistra, o è la coalizione a consentire all’UDc di vincere? Sottigliezze, in fondo. Visto che i centristi per conto loro hanno ottenuto importanti exploit in città importanti come Modica.

Gli sconfitti, insomma, sono altrove. E vanno rintracciati nelle parole un po’ dimesse del capogruppo all’Ars del Movimento cinque stelle Giancarlo Cancelleri: “Siamo giovani, e forse abbiamo commesso qualche errore” e nell’onesta analisi di Raffaele Stancanelli: “Mi assumo le responsabilità di tutto – ha detto – anche se potrei citare a scusante che su 169mila voti alla coalizione solo 75mila sono andati anche al candidato sindaco e quindi che qualcuno ha pensato soltanto a se stesso”. Il centrodestra che fu una macchina da guerra, adesso fa la guerra ai suoi stessi candidati. E consegna l’Isola al centrosinistra. La Sicilia, una volta granaio dei moderati, oggi nuova Regione “rossa”.

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11 Giugno 2013, 10:17

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