25 Dicembre 2010, 01:04
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Alberto si stava svogliatamente facendo il nodo alla cravatta con un bel sottofondo di musica jazz, quando l’atmosfera rilassata fu interrotta dallo squillo del cellulare: era Daria, la sua compagna, ma erano soprattutto le 21,15. Intuì allora di essere in ritardo per l’esclusivo “party natalizio” a casa di uno sconosciuto industriale. Daria aveva fatto di tutto per diventare amica della moglie e per farsi invitare a questo party della vigilia di Natale, dove ci sarebbe stata la “crème de la crème” dell’alta società cittadina, e Alberto non osava immaginare gli improperi che lo avrebbero travolto di lì a poco. Si risolse così a stringere il nodo della cravatta, ad indossare la giacca e ad afferrare il cappotto e gli omaggi per i padroni di casa e si avviò velocemente verso la porta di casa senza sapere che il pianerottolo gli riservava una sorpresa, una brutta sorpresa.
C’era ad attendere l’ascensore il professore. Alberto non aveva mai sopportato questo anziano condomino, non che gli avesse fatto qualcosa, ma questo vecchio non gli stava per niente simpatico, forse perché gli ricordava il suo professore di Lettere del liceo che non gli aveva mai messo più di 6 in pagella. L’arrivo dell’ascensore tolse dall’imbarazzo Alberto che sussurrato un saluto, fece per far accomodare nell’ascensore il professore. Oltre ad incontrare il professore, Alberto odiava salire in ascensore con altri tanto che guardava fisso la punta delle sue scarpe in attesa di poter fuggire via da quella gabbia in movimento, ma un sussulto interruppe l’apnea di Alberto che istintivamente sollevò lo sguardo e realizzò che il suo peggiore incubo si era avverato: era rimasto bloccato in ascensore con l’odiato professore la sera della vigilia di Natale.
Alberto, che più della claustrofobia temeva la reazione di Daria, si accorse di aver dimenticato il cellulare a casa e cominciò ad urlare e a suonare il campanello dell’ascensore, mentre il professore lo guardava quasi divertito. Quando l’ultimo grido gli morì in gola il giovane capì di essere osservato come una di quelle buffe scimmie da circo e scivolò a terra mettendo il volto tra le mani. Il Professore quasi impietosito disse paternamente: “Giovanotto, non si agiti chi vuole che la senta? A quest’ora sono tutti alle prese con pantagrueliche cene!”. Al “pantagrueliche” Alberto levò uno sguardo sconcertato verso il professore e poi si rituffò nella disperazione più nera. Col passare dei minuti una strana calma che sapeva di rassegnazione aveva preso i due compagni di sventura, mentre in lontananza si sentivano gli odori delle cene natalizie e i clamori e le risate delle famiglie riunite.
Il professore si era accucciato a terra e si era immerso nella lettura di un libretto con tutte le opere di Giacomo Leopardi e ciò insieme al fatto che il vecchietto non avesse un cellulare faceva imbestialire Alberto che bruscamente chiese: “Ma non c’è nessuno che l’aspetta questa sera?”. Il professore continuando a guardare le pagine del libretto rispose: “No, non mi attende nessuno. Da anni passo il Natale alla stessa maniera: cena veloce con un po’ di musica classica e poi vado a messa nella parrocchia qua vicino. Ma le dirò che non sono dispiaciuto di non essere alla messa di mezzanotte, sa il prete fa delle omelie talmente brutte…”. “In fondo anche io non sono dispiaciuto…” si lasciò scappare Alberto e vedendo che il professore lo seguiva riprese: “Non me ne frega assolutamente niente di passare il Natale con quella gente lì che mi ricorda i megadirettori di Fantozzi che si scambiano i panettoni d’oro! E poi Daria… non la capisco più, insegue questa assurda mondanità che ci sta rovinando…”.
Alberto avvilito e in barba al divieto di fumo prese il tabacco che aveva in tasca, ma si accorse di essere senza le cartine per farsi una sigaretta e maledì la sua dimenticanza; il professore immediatamente strappò una paginetta dal suo libretto e la porse facendo segno di accettare: “prenda pure è il passero solitario, tanto lo conosco a memoria!”. Alberto accettò sbigottito e fumando pensava all’assurdità della situazione: stava passando la notte di Natale bloccato in ascensore con un vecchio che gli aveva fatto fumare una poesia di Leopardi! Il tempo continuava a scorrere inesorabile verso la mezzanotte, e ad un tratto si presentò la fame con un sinistro rumore proveniente dallo stomaco di Alberto.
“Mangiamo?” domandò l’anziano docente e Alberto fece cenno di non aver niente e di nuovo il professore: “Mi scusi ma in quei pacchi che cosa c’è?”. Alberto orgoglioso tirò fuori dal pacco un pregiato presepe di pane che doveva essere il dono per l’illustre commendatore e che Daria aveva fatto fare appositamente. “Oh bene!” esclamò il professore sottraendo l’opera d’arte dalle mani di Alberto e mentre cominciava a spezzare parti della capanna cominciò a spiegare: “Nostro Signore è nato a Betlemme che in ebraico vuol dire “casa del pane” e quindi penso che non si offenderà nessuno se adesso mangiamo di questo presepe, in fondo Cristo stesso ha detto di essere il pane…” e mise nelle mani dell’incredulo Alberto uno dei re magi: “Deve assaggiare Baldassarre, è un po’ più cotto!”.
Alberto scoppiò a ridere di cuore, addentò felice il povero Baldassarre e tirò fuori anche la pregiata bottiglia di champagne francese che cercava di salvare da quell’insolito pasto. I due mangiarono e bevvero allegramente e parlarono a lungo della vita, dell’amore e del Natale. Poi il professore prese il Gesù bambino di pane, sorrise e disse: “Questo non lo mangiamo, lo deve conservare in ricordo di questa sera di Natale; ero uscito di casa un po’ triste e malinconico e non mi sarei mai aspettato di divertirmi così tanto dentro un ascensore!”. Alberto strinse tra le mani il bambinello e si sentì rinascere: si era scrollato di dosso le sue convinzioni, i suoi pregiudizi e quella vita così ipocrita e triste, sentiva che da domani tutto sarebbe stato luminoso e bello come il sorriso e la canizie di quel vecchio.
Era mezzanotte e campane lontane annunciavano il giorno di Natale, quando all’improvviso l’ascensore si rimise in moto e in breve i due si trovarono al cospetto di un giovane poliziotto che tornava a casa dopo aver concluso il turno e che esclamò: “Ma da quanto tempo siete qui?”. “Da troppo poco” rispose Alberto aiutando il nuovo amico ad uscire dall’ascensore. Si diressero così fuori dal palazzo per una boccata d’aria rigenerante e Alberto riprese il tabacco ma si ricordò di essere ancora senza cartine, il professore senza esitare strappò un altro foglio dal suo libretto e lo presentò al giovane: “A Silvia, anche questa la so a memoria!”. Alberto sorrise e cominciò a preparare la sigaretta e chiese al professore: “Da molti anni abitiamo nello stabile, ora abbiamo passato anche la vigilia di Natale insieme, ma io ancora non so il suo nome!”. “Emmanuele” disse il vecchio professore e subito nella mente di Alberto balenò un ricordo antico di catechismo e mormorò: “Dio con noi…”. “Sì, è veramente con noi” concluse il professore.
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