21 Dicembre 2015, 21:12
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PALERMO – La denuncia. La conferenza stampa. Il rogo. Il canovaccio era stato quello di sempre. Il governo regionale due anni fa aveva annunciato la rivelazione di uno scandalo senza precedenti: il viaggo in Canada di una delegazione di dipendenti regionali pagato con i soldi pubblici. E aveva anche indicato il responsabile: l’allora presidente dell’Ente parco delle Madonie, dirigente subito sospeso e poi sollevato dal suo incarico e sostituito con un fedelissimo del governatore. Anche stavolta, però, la denuncia di Crocetta e dei suoi assessori si è rivelata soltanto un bluff. Utile, due anni fa a corroborare una politica fatta di slogan e annunci. Ma che oggi costringe la Regione a riconoscere al dirigente, difeso dai legali dello studio Armao, non solo gli stipendi non corrisposti, ma anche un risarcimento per i danni d’immagine e di salute. Una cifra complessiva di oltre 25 mila euro. Oltre al pagamento delle spese legali per altri tremila euro.
Un pasticcio. Un finale grottesco per una storia che faceva acqua fin dall’inizio. E che nonostante ciò fu “sparata” in un occasione di una convocazione urgente ai giornalisti che accorsero a Palazzo d’Orleans per apprendere del nuovo clamoroso scandalo finito sotto la lente del governo della rivoluzione. Ecco, secondo il Tar quella storia raccontata da Crocetta in quei giorni affiancato dalla combattiva Mariella Lo Bello, è quantomeno “confusa”, incerta. “Il Collegio – si legge infatti nella sentenza del Cga – rileva che la vicenda della spedizione in Canada, da cui prende le mosse la deliberazione di sospensione (di Pizzuto), presenta aspetti d’incertezza. In primo luogo non risulta chiaro da quale ufficio della Regione sia partita l’iniziativa, non risulta accertato da quanti componenti fosse composta la cosiddetta ‘delegazione’, non è stato mai precisato se le richieste di pagamento, pervenute dalla Camera di Commercio di Montreal, siano state soddisfatte”. E ancora, si chiedono i giudici, come è possibile che Pizzuto fosse il responsabile di quel viaggio, compiuto nel settembre del 2011, se il dirigente è stato nominato presidente del parco dieci mesi dopo?
Errori madornali. Visibili a occhio nudo. A causa dei quali i giudici hanno “demolito” il governo regionale, in diversi passaggi della sentenza. Tutta la storia, infatti, si sgonfia, si affloscia, si scioglie come un gelato al sole. La “delegazione” spedita in Canada a nostre spese si riduce – queste le carte in mano ai giudici – al viaggio di un solo funzionario. “Non si comprende bene, quindi, – proseguono i giudici – perché i fatti relativi, che, come rilevato, presentano aspetti d’incertezza per non dire d’imprecisione, vengano qualificati come certi e gravi e tali da richiedere l’adozione immediata di provvedimenti cautelari”. Ma la “sparata” era servita al governo. Anche mediaticamente. In televisione e sui giornali dove si è raccontata la favola del viaggio in Canada. Fatti, fanno notare i magistrati amministrativi, ai quali lo stesso governo “non ha più dedicato attenzione”. Lo spot era stato lanciato, del resto. La nuova, durissima denuncia data in pasto ai media. La lotta alla manciugghia riaffermata in modo plateale. Il resto non contava più.
Ma la sentenza di oggi è durissima. Ecco infatti che spuntano anche gli strafalcioni giuridici: il provvedimento di sospensione a Pizzuto non prevedeva un termine, inoltre “il relativo procedimento non si è mai concluso con l’adozione di un provvedimento conseguente ai fatti contestati, giacché il definitivo provvedimento di revoca si regge su fatti e circostanze pressoché totalmente diversi da quelli contestati”. Già, perché per sorreggere una storia che zoppicava, il governo le ha provate tutte. E i giudici ne mettono in dubbio anche la buona fede: “Non è infatti, ragionevolmente ipotizzabile – si legge – che l’Amministrazione abbia emanato l’illegittimo provvedimento di sospensione in una situazione di buona fede o per un errore scusabile. Troppo chiare le regole per commettere errori di quel tipo insomma. Ci doveva essere di più.
E l’ombra della malafede si allunga anche su alcuni atti successivi alla revoca di Pizzuto. Quelli contenuti ad esempio nella relazione del nuovo commissario Erasmo Quirino: “Nominato in seguito alla sospensione del Pizzuto, ed essendo stato espressamente previsto che sarebbe rimasto in questa carica fino a quando il presidente Pizzuto fosse rimasto sospeso o addirittura revocato”. Insomma, non proprio un soggetto “disinteressato”, spiegano intendere i giudici. “È evidente che il commissario avrebbe avuto interesse a corroborare con le sue indagini il provvedimento di sospensione o l’annunziato provvedimento di revoca giacché, se la sospensione fosse cessata, egli sarebbe stato costretto a lasciare il posto provvisoriamente occupato”. Così, la recita deve andare avanti per forza. Per non far perdere la faccia al governo e il nuovo incarico al fedelissimo del governatore. “Nel rispetto anche formale del principio di imparzialità – si legge nella sentenza – l’Amministrazione avrebbe fatto bene a investire delle verifiche delle ‘criticità’ un ispettore terzo”. Tra l’altro, spiegano i giudici, la condotta di Pizzuto non può definirsi così grave da portare a una revoca. E nessun danno, si precisa nella sentenza, è stato arrecato alla Regione. Almeno da Pizzuto.
Perché a causa di quella revoca, successiva allo show di Crocetta, la Regione si troverà a riconoscere a Pizzuto lo stipendio per quei mesi in cui non è andato al lavoro sostituito dal commissario (pagato a sua volta). Un capolavoro. Di quello che vorrebbe accreditarsi come un potere politico e persino moralizzatore. Un governo che, come è accaduto in passato, si è rivelato una compagnia d’avanspettacolo. Ma a pagare il biglietto, anche stavolta, sono stati i siciliani.
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21 Dicembre 2015, 21:12