Catania

Annalisa, amore e mafia: perché lo zio la uccise

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03 Gennaio 2021, 05:43

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Uccisa ad appena vent’anni di età con due colpi di pistola alla testa esplosi dallo zio. Annalisa Isaia mure così, con il corpo occultato in una fossa scavata in contrada Passo Martino, nel Catanese. Una fine terribile, innaturale, decisa perché frequentava i ragazzi del clan “sbagliato”. Una storia contorta e sepolta nel passato. Ma riaffiorata di recente grazie a uno dei racconti noir scritti da Rosario Russo e raccolti in Effetti collaterali (Algra, € 14). Acese, classe 1986 e membro del collettivo letterario Sicilia Niura, Russo ci ha messo del suo e, da un fatto di cronaca terribilmente vero, ha sviluppato un racconto a mano libera da sudore nella schiena. 

Rosario Russo, autore di Effetti collaterali.

La cronaca di allora

Mettiamo da parte il racconto e andiamo ai fatti. Perché quella primavera del 1998 fu davvero carica di episodi spaventosi tutti incatenati tra loro. Allora, più di un fiore fu spezzato, più di una speranza calpestata dalle bassezze della furia criminale. Tutto parte il 7 aprile da San Cristoforo, quando un commando carica le armi, uccide Angelo “Pannizza” Castorina e ferisce Orazio Signorelli. Una sparatoria in pieno giorno. Feroce, acefala. Tant’è che quelli del commando continueranno a sparare anche quando vedranno che un bambino, nel frattempo, si è accasciato a terra.  

Mimmo perde la vista

Colpito al volto, il piccolo Domenico “Nico” Querulo perse la vista. Un episodio tanto clamoroso da suscitare la doppia reazione popolare. Da un lato la grande gara di solidarietà affinché venisse guarito; dall’altro l’indignazione di un quartiere che, nonostante la pesante reputazione, non accettò che a pagarne fosse un innocente. Fu il combinato disposto di due sentimenti sull’orlo della ribellione a favorire il lavoro di Procura e Polizia e mettere alle corde gli autori dell’agguato.

Si trattò di un regolamento di conti all’interno del clan Scuto-Tigna. Castorina e Signorelli furono puniti perché da tempo si muovevano con “eccessiva autonomia” nel tentativo di scalare i vertici dell’organizzazione. I quattro che parteciparono all’agguato furono arrestati nel giro di pochi giorni. Nell’estate del 2003, la corte d’Appello conferma tutte le condanne. 14 anni di carcere a Giovanni Gennaio, 14 a Vincenzo Venuto. 12 anni e 6 mesi per Carmelo Privitera, 20 anni e 9 mesi sono stati comminati a Luciano Daniele Trovato, che in primo grado era stato condannato a 18 anni e 9 mesi. 

La confessione

Quest’ultimo, reo confesso, decise di collaborare con la giustizia a un anno esatto dall’arresto. Ed è lui che rivela anche un’altra colpa. Quella di aver ucciso la nipote Annalisa. Le sparò alla testa perché era stanco di subire lo scherno dei compagni di cosca che non tolleravano che frequentasse ragazzi vicini ai Mussi ‘i ficurinia, ovvero i Laudani. 

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Non avrebbe voluto ucciderla, ma a un certo punto non è riuscito più a controllare gli istinti e tornare indietro. Ecco il racconto di Luciano Daniele Trovato: “Volevo solo farla spaventare, farle credere che l’avrei uccisa”. Per questo motivo, in contrada Passo Martino, aveva predisposto una fossa. Per farle paura. La minaccia e le assicura che l’avrebbe sepolta lì se non avesse eseguito i suoi ordini. “Ma lei – avrebbe detto lui stesso agli inquirenti secondo la ricostruzione del quotidiano La Sicilia – anziché spaventarsi, mi teneva testa. Mi disse: ‘Perché non muori tu?’”. Allora le sparò due colpi alla testa. Una morte assurda.  

Chi era lei

Annalisa lasciò un figlio di cinque anni. A quattordici anni era infatti scappata da casa, aveva scelto l’istituto della fuitina. Ma quella storia d’amore, dopo tempo, era comunque naufragata e lei era tornata a vivere dalla madre. La ragazza era solita accompagnarsi ad altri ragazzi, tra questi anche figure vicine al clan Laudani. Famiglia, quest’ultima, autrice dell’omicidio del padre Paolo, ucciso lungo la Statale per Riposto. E fu proprio questo ricordo a scatenare le ire dello zio.

Secondo le cronache di allora, il padre di Annalisa era legato ad ambienti dei Cursoti Milanesi. Al momento della morte, Paolo Isaia sapeva certamente che sarebbe potuto rimanere vittima di un agguato, tant’è che alla morte indossava un giubbetto antiproiettile e girava con una calibro 7,65 alla cintola. 

La tragedia

Annalisa è morta perché amava. Perché di amore si tratta. Secondo fonti di LiveSicilia, le sue non erano semplici frequentazioni. Ma il suo cuore batteva per un ragazzo in particolare. Una persona che ad oggi sarebbe comunque all’ergastolo. “Amor, ch’a nullo amato amar perdona”. Ovunque sia oggi e qualunque sia il ricordo che abbia lasciato, quanto accaduto ad Annalisa ha tutto il sapore della tragedia. Sociale, sicuramente. Umana, soprattutto.  

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03 Gennaio 2021, 05:43

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