30 Luglio 2017, 16:16
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PALERMO – Per anni sono state descritte come l’unica, vera, possibile festa della democrazia. Ma la festa è già finita. Le primarie in Sicilia sono morte. E con esse, l’ambizione dei partiti di aprirsi alla gente, di avvicinare il proprio operato verso i confini di quella che qualcuno chiama, con un po’ di prosopopea, la “democrazia diretta”, o partecipata.
E invece, in Sicilia, terra che sta registrando e registrerà le più importanti scadenze elettorali del Paese, dall’elezione di uno dei più grossi capoluoghi di Regione come Palermo, passando per le Regionali che saranno antipasto delle attesissime politiche, i gazebo, alla fine, sono rimasti nei magazzini dei partiti. Tra la polvere della realpolitik. Perché è sempre meglio, in fondo, sedersi a tavolino e decidere. Che non si sa mai cosa può scegliere la gente.
E la sorpresa, ovviamente, riguarda soprattutto il Partito democratico. È quella la forza politica che ha fatto delle “primarie” una componente essenziale del proprio brand, un aspetto fondamentale della propria identità. “Il bagno di democrazia”, il “coinvolgimento del popolo”, la “grande festa”, qui quasi certamente non ci sarà. Di sicuro, non c’è stata in occasione delle elezioni palermitane. E il racconto di come si sia deciso di non festeggiare la democrazia interna del Pd assume toni paradossali.
È il 26 ottobre del 2016, a circa cinque mesi delle elezioni, quando il segretario regionale del Pd Fausto Raciti è chiaro e duro: “Consideriamo molto grave – diceva allora – la scelta di Leoluca Orlando che, con manovre da azzeccagarbugli, ancora una volta ha determinato il rinvio del congresso dell’Anci. E’ evidente – aggiungeva Raciti – che bisogna chiudere definitivamente con certe pratiche: per questo proporremo che il prossimo 22 gennaio, partendo da Palermo, si svolgano le primarie per la scelta dei candidati alla carica di sindaco. Nei prossimi giorni sarà avviato il percorso e saranno scritte le regole per individuare le candidature entro il 20 novembre”.
La storia è poi nota a tutti: il Pd invece di “chiudere” con certe pratiche “aprirà” all’azzeccarbugli Orlando. Erano i giorni in cui anche il segretario provinciale Carmelo Miceli faceva un po’ la voce grossa, anticipando che avrebbe proposto “di scegliere il candidato attraverso le primarie, in un percorso che veda in campo lo schieramento di centro-sinistra, partendo dalle forze che sostengono il governo Renzi. A chiunque pensi di candidarsi senza il simbolo del Pd – aggiungeva Miceli – posso solo augurare ‘buona fortuna’”. Anche in questo caso, le intenzioni sono svanite con l’ingresso del nuovo anno. Il Pd rinuncerà al proprio simbolo, a sostegno dell’odiato sindaco uscente. Le primarie? In silenzio, sono state dimenticate, nel magazzino della festa.
Eppure erano, quelli, i giorni del referendum, della “gente che scende in piazza”. Ma niente. E a niente serviranno, per spingere il Pd siciliano a organizzare quantomeno una festicciola della democrazia primaverile, la celebrazione delle mega-primarie nazionali che hanno a sorpresa confermato Renzi con sette voti su dieci a favore. Stavolta i momenti sembravano davvero maturi: non a caso, il renziano di Sicilia Davide Faraone, piglio deciso e parole sicure, convocava una conferenza stampa: “Servono le primarie. Sulle candidature, ho sempre detto che ci sarebbe stata una rappresentanza dell’area renziana. Crocetta? Se vuole, partecipi. Lui legittimamente può dire di aver fatto bene. Io la penso diversamente e sosterrò quindi un altro candidato. Si misurerà con gli elettori”. E sull’ipotesi Grasso, che già faceva capolino in quei giorni di maggio, Faraone tagliava corto ribadendo: “Sono sempre necessarie le primarie”. Ma di primarie, oggi, il Pd non vuol sentir parlare. Dopo avere atteso l’Avvento del Messia si è trovato a metà del guado (pericolo, a dire il vero, paventato in quei giorni dallo stesso Faraone). E così, sono partite le consultazioni, i colloqui, i vertici. E persino l’ipotesi di rinunciare a un proprio candidato, pur di tenere coesa la coalizione. Nel frattempo, dopo averle guardate con grande diffidenza, Crocetta spingeva per le primarie. Una richiesta ufficialmente proposta dal senatore Beppe Lumia alla segreteria Dem. Che ha freddamente risposto: non sono all’ordine del giorno. Si vedrà, insomma. E così la festa della democrazia rischia di trasformarsi nell’atto che certifica la disperazione Dem: l’ultima ratio. Da evitare in ogni modo.
E dire che l’idea delle primarie, marchio del Pd, aveva finito persino per coinvolgere lo schieramento che le aveva sempre sdegnosamente rifiutate. Il centrodestra siciliano aveva addirittura organizzato incontri e vertici, buttato giù qualche regola e persino avviato la raccolta delle firme. All’ultimo giorno utile, però, due leader dei partiti di quell’area, il coordinatore di Forza Italia Gianfranco Micciché e quello del Cantiere popolare Saverio Romano facevano saltare il tavolo: niente primarie. Per carità. Sarà pure una festa della democrazia, ma non bisogna nemmeno esagerare. Anche perché le primarie costano. E tanto. E qualcuno, da quelle parti, ha alzato il dito: non abbiamo gazebo né sedi, quanto spenderemo? Certamente più delle “primarie grilline”, le cosiddette Comunarie o Regionarie svolte sul web. Le prime hanno fatto emergere scontri e polemiche, abbandoni in corsa e spaccature interne. Le seconde, hanno “investito” quello che da anni era per tutti il candidato del Movimento cinque stelle. Una vittoria, quella di Giancarlo Cancelleri, sorprendente come quella di Renzi pochi mesi fa. Da lì, il dubbio, nutrito magari da qualche caso extra-siculo, come la vicenda delle Comunali di Genova: vuoi vedere che la festa di democrazia è utile solo quando può “legittimare” il capo scelto già dalla politica?
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30 Luglio 2017, 16:16