Antinoro: “Mai comprato voti | E quei tre erano incensurati”

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06 Luglio 2013, 06:00

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PALERMO – Lì per lì dice “preferisco non commentare”. Dopo pochi istanti, però, Antonello Antinoro diventa un fiume in piena: la condanna in appello a sei anni per voto di scambio politico mafioso, arrivata appena poche ore prima con una sentenza che ha modificato il capo d’imputazione del primo grado e inasprito la pena, all’europarlamentare proprio non va giù, innanzitutto perché – dice – “non solo non ho mai commesso un reato di compravendita di voti, ma neanche ho mai pensato di farlo. I miei risultati sono puliti: a quella tornata elettorale ho preso 28.200 voti”.

Ecco, partiamo da qui. Le contestano l’acquisto di 60 voti.
“Guardi, le ribadisco: non ho mai pensato di comprare voti. Né dalla mafia né da chicchessia. E poi, la sentenza di primo grado questa cosa l’aveva cassata”

Quella di secondo grado no.
“Leggeremo le motivazioni. Intanto le dico quello che so: la sentenza di primo grado, quindi non il signor Antinoro ma la magistratura, dice che c’è stato un errore di interpretazione. I mafiosi parlavano della cosiddetta ‘convenzione dei partiti’. Insomma, erano convinti che al candidato venissero pagati 50 euro a voto. Adesso leggeremo le motivazioni e capiremo perché c’è stato questo ribaltamento. Qualunque commento, adesso, sarebbe superfluo”.

Ricorrerete in Cassazione, immagino.
“Certo”.

Nel frattempo ha valutato la possibilità di trarre le conseguenze di questa condanna? Glielo dico senza girarci attorno: sul web c’è già chi parla di “un passo indietro necessario”.

“Siccome in Italia vale ancora la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio, e soprattutto siccome io mi sento innocente, non ho intenzione di commentare”.

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Sì, ma politicamente cosa cambia per lei?
“Sono passate poche ore. Onestamente questo aspetto non me l’ero ancora posto. Mi dia il tempo di metabolizzare”.

Vabbene. Allora torniamo al merito: che ci facevano tre mafiosi a una sua riunione elettorale?
“Quei soggetti all’epoca dei fatti erano tutti incensurati. Ancora una volta non sono io a dirlo: il maresciallo Corsello, chiamato in aula a testimoniare, ha riferito che all’epoca dei fatti non erano conosciuti neanche alle forze dell’ordine, quindi si figuri se erano conosciuti a me. Poi, mi scusi, voglio aggiungere una cosa”.

Cosa?
“Se lei che è un giornalista mi organizza una riunione elettorale, immagino che inviti i suoi colleghi, forse qualche sua fonte. Bene: se lo fa un medico mutualista, per me quelli che invita sono i suoi assistiti. Se vado in un ambulatorio e trovo un po’ di persone, immagino che siano assistiti del medico. E alcuni lo erano”.

Di cosa avete parlato?
“L’abbiamo scoperto, di cosa si è parlato. Di aggiustare un marciapiede, della riserva di caccia a Montepellegrino, insomma delle cose di cui si parla in campagna elettorale. Ma comunque deve sottolineare questo: erano tutti incesurati. Chi fossero lo si scoprì un anno dopo, a maggio del 2009, quando furono arrestati. Oltre tutto uno era dipendente di Villa Malfitano, uno di Multiservizi e uno dell’Amat”.

Provo a sintetizzare. Lei dice: erano tutte persone che ruotavano intorno al pubblico…
“Non dica ‘ruotavano’: erano dipendenti pubblici. Uno era dipendente di una fondazione che vive di soldi pubblici, uno di un’azienda regionale, uno di un’azienda municipalizzata. Ma, lo ribadisco, il punto è che erano tutti incensurati. Come potevo sapere chi fossero?”.

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06 Luglio 2013, 06:00

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