09 Giugno 2015, 13:09
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PALERMO – “In queste condizioni è estremamente difficile esercitare il diritto di difesa, chiediamo che il giudice voglia disporre il rinvio a giudizio dell’imputato Giuseppe Faraone”. Sono durissime le parole dei legali dell’ex consigliere comunale, ex assessore provinciale e mancato deputato regionale nella lista Crocetta arrestato per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso nel blitz Apocalisse contro la mafia di Resuttana e San Lorenzo.
Gli avvocati Marina Cassarà e Antyhony De Lisi affidano il loro pensiero ad una nota scritta che consegnano al giudice per l’udienza preliminare Roberto Riggio che dovrà decidere se rinviare a giudizio o meno 129 persone, fra presunti boss e gregari delle cosche mafiose. Mettono in discussione la stessa efficacia della fase processuale dell’udienza preliminare. Almeno, quando la celebrazione, a loro dire, è segnata da mille criticità.
Processo “mostro” era stato definito da Gioacchino Scaduto, presidente aggiunto della sezione Gip-Gup che aveva chiesto collaborazione a tutte le parti processuali per far sì che il dibattimento fosse giusto come previsto dalla legge. Centoventinove imputati, una settantina di parti civili, oltre 500 capi di imputazione: i numeri sono da maxiprocesso. I legali chiedono di potere leggere tre pagine di memoria conclusionale in un’aula come sempre super affollata. Elencano tutte le criticità che non renderebbero “giusta” l’udienza preliminare: “Compressione dei tempi di esercizio del diritto di difesa, allorquando è stata riservata una sola udienza alle discussioni di oltre 35 difensori”; l’impossibilità di mantenere “una qualità di ascolto e di attenzione da parte di tutte le parti processuali può indurre a delle conclusioni sommarie, o sintetiche?, come quelle formulate dall’ufficio della Procura”; “Solo lo scorso 25 maggio sono stati messi a disposizioni delle difese alcuni atti, noti alla Procura dal 14 novembre 2014, il cui esame incide fortemente sul quadro accusatorio”; “Tali atti avrebbero potuto incidere anche sullo status libertatis di Farone”; “L’ufficio della Procura non ha ritenuto di dovere motivare la propria richiesta di rinvio a giudizio omettendo al giudice di fornire gli elementi da esaminare per una corretta e fondata verifica necessaria ai fini delle sue determinazioni”. Infine la stoccata sulla stessa utilità di un’udienza preliminare celebrata in un simile contesto: “Pur ribadendo il sentito e doveroso rispetto per ogni autorità giudiziaria non si può prescindere dal formulare valutazioni sulla reale efficacia di questa fase processuale”.
C’è ne abbastanza, secondo gli avvocati, per arrivare ad una richiesta insolita visto che a proviene dai difensori di un imputato: rinviate a giudizio Giuseppe Faraone. Una richiesta che lascia intuire quanto forte sarà lo scontro in dibattimento, qualora per Faraone arrivasse il rinvio a giudizio. Si era già capito del resto il giorno in cui Faraone rispose al Gip dopo l’arresto (oggi si trova ai domiciliari ndr), respingendo l’accusa. L’ossatura della misura cautelare è costituita dalle intercettazioni telefoniche e dalla denuncia di Antonino Arnone, l’imprenditore che il politico avrebbe messo in contatto con il boss che pretendeva la messa a posto dell’azienda. Faraone definì il suo accusatore “una persona per bene con cui ho rapporti da tempo”. Rapporti leciti perché l’imprenditore, raccontò Faraone, “mi ha sempre aiutato nelle campagne elettorali”. Il politico sostenne, infatti, che fra lui e l’imprenditore i rapporti sarebbero proseguiti anche dopo che Arnone, nel luglio 2014, ammise ciò che prima aveva negato e cioè che il consigliere comunale fosse l’intermediario della sua estorsione. Sono tutti elementi che, c’è da giurarci, i legali si giocheranno se e quando ci sarà un processo. Quando il processo, così sostengono gli avvocati De Lisi e Cassarà, sarà finalmente “giusto”.
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09 Giugno 2015, 13:09