08 Agosto 2024, 06:00
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PALERMO – Lo scontro è stato durissimo. L’inchiesta è stata archiviata, ma la storia va raccontata per il livello delle accuse e dei protagonisti.
Solo adesso si scopre che Gaetano Armao, noto avvocato, ex assessore regionale e vice presidente della giunta di Nello Musumeci, nonché attuale consulente del governatore Renato Schifani, ha raccontato di avere vissuto per due anni sotto ricatto del magistrato contabile Pino Zingale.
Armao ha presentato un esposto contro il procuratore regionale della Corte dei Conti al segretario generale della Corte dei Conti e alla Commissione disciplinare del Consiglio di presidenza della stessa Corte che hanno avviato una procedura per l’accertamento di eventuali incompatibilità ambientali e funzionali di Zingale.
Il procuratore generale della Corte dei Conti trasmetteva il fascicolo alla Procura della Repubblica per le valutazioni ed è stata aperta l’inchiesta per concussione.
Nei mesi scorsi il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo, Ivana Vassallo, ha archiviato l’inchiesta. Livesicilia è venuto a conoscenza del contenuto del provvedimento.
Armao ha ricostruito una maleodorante storia fatta di ombre, sospetti e vendette. Pagati, a suo dire, a caro prezzo di tasca propria. Ma a farne le spese sarebbero stati anche i siciliani. Accuse pesanti, che non hanno retto. La Procura ha cercato a lungo i riscontri e non li ha trovati. Le parole non sono state supportate dai fatti.
Agli atti è rimasto soltanto il racconto di Armao, secondo cui la costrizione del pubblico ufficiale Zingale (questo prevede il reato di concussione) si sarebbe addirittura spinta fino alla mancata parifica dei conti della Regione.
Zingale, infatti, fece appello contro la delibera di parifica. Una mossa, secondo Armao, immotivata e spinta solo da motivi personali nel tentativo di bloccare l’azione del governo regionale.
Una bomba a orologeria nei delicati rapporti fra poteri sancito dalla Costituzione e piazzata da un magistrato che teneva in ostaggio un assessore. L’accusa era davvero pesantissima, ma si è sgretolata.
Armao nel suo esposto si definiva vittima di “molteplici interferenze e solleciti”. Al termine delle indagini nel comportamento di Zingale non sono emersi aspetti penalmente rilevanti, né profili disciplinari che vanno sanzionati. L’inchiesta è stata archiviata.
Erano tanti però i capitoli del’esposto (a ciascuno dedicheremo un approfondimento) ed è stato necessario convocare i più alti burocrati e dirigenti della Regione siciliana come testimoni e persone informaste sui fatti per verificare e infine smentire le accuse di Armao.
Dall’aiutino per ottenere i soldi necessari – 30 mila euro – al restauro di una pala d’altare che si trova all’interno della chiesa del Sacro Cuore di Monreale, sede dell’ordine di San Lazaro di Gerusalemme, alle pressioni affinché Armao sfruttasse le sue amicizie romane per fare ottenere a Zingale la nomina di capo ufficio legislativo o capo della segreteria tecnica del governo Draghi.
Quest’ultimo argomento è stato oggetto di uno scambio di messaggi allegati dall’ex assessore regionale nella denuncia. Armao sosteneva di avere assecondato i desiderata di Zingale perché temeva le sue ritorsioni. Che ad esempio nel 2019 si sarebbero concretizzate nella mancata parifica del rendiconto della Regione quando Armao era assessore all’Economia.
O addirittura vendicandosi: la commissione tributaria presieduta da Zingale diede torto ad Armao in una questione di debiti fiscali per oltre 600 mila euro.
Nulla di tutto ciò è avvenuto. Le accuse sono state smentite punto per punto. “Prive di riscontri oggettivi” c’è scritto nelle trentadue pagine del provvedimento di archiviazione decisa dal gip su richiesta della stessa Procura.
E i messaggi per ottenere l’incarico a Roma salvati nella memoria del cellulare di Armao e consegnati alla magistratura? Furono inviati, è indubbio, ma si trattò di “una richiesta esplorativa che rappresenta una forma di auto autopromozione”, scrive il giudice Ivana Vassallo.
E la causa persa da Armao in commissione tributaria, l’accusa che Zingale avesse usato la legge per punire l’ex assessore raggirando o infischiandosene dei colleghi (la sentenza è collegiale)? Anche in questo caso, dopo una lunga analisi, la riposta è lapidaria: “Nessun elemento di prova di una condotta illecita”.
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08 Agosto 2024, 06:00