Aveva un arsenale, ai domiciliari | “Voglio la macchina della verità”

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27 Febbraio 2018, 15:56

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PALERMO – Lascia il carcere e va agli arresti domiciliari, nonostante gli abbiano trovato in casa un arsenale da guerra. Secondo il giudice per le indagini preliminari si sono affievolite le esigenze cautelari nei confronti di Amedeo Caruana, l’infermiere di Favara arrestato lo scorso giugno.

Gli otto mesi trascorsi in carcere, scrive il gip Fabrizio Molinari, avranno fatto da deterrente per l’indagato. C’è da credere che non commetterà più reati. Caruana, inoltre, sarebbe stato convincente nel corso dell’interrogatorio a cui si è sottoposto. Avrebbe detto la verità e per bocca del suo difensore, l’avvocato Ninni Giardina, fa sapere di essere pronto a sottoporsi alla risonanza magnetica funzionale “l’unico esame certo” in grado di stabilire se una persona menta o dica la verità analizzando la corteccia cervicale. Il legale si spinge oltre la scienza, dando per assodate certezze su cui gli scienziati non si sono ancora pronunciati.

Tra giugno e luglio scorsi i carabinieri hanno trovato un arsenale. A casa di Caruana e nell’insenatura di un muretto della sua residenza di campagna c’erano fucili, centinaia di munizioni e granate custodite dentro un tubo, quattro pistole di diverso calibro, tre mitragliette, un moschetto calibro 9, due carabine, una bomba a mano, una granata, 8 mila cartucce, decine di silenziatori e caricatori per pistole mitragliette, vari strumenti per alterare le armi e strumenti per fabbricare le munizioni, una maschera antigas, un giubbotto antiproiettili e numerosi accessori per armi.

Una passione, illegale, ma pur sempre una passione: così ha sostenuto l’avvocato dell’infermiere cinquantenne. Niente a che vedere con la mafia, visto che la Procura di Palermo contesta a Caruana il reato della detenzione delle armi con l’aggravante dell’articolo 7, previsto quando c’è di mezzo Cosa nostra. Nel corso dell’interrogatorio, l’infermiere ha parlato di sé come una persona rispettabile, apprezzata sul lavoro, attiva nel volontariato. E poi sta male: soffre di diabete e ipertensione e le condizioni carcerarie sono disumane. Deve avere convinto il giudice che lo ha mandato ai domiciliari senza l’applicazione del braccialetto elettronico.

I pm antimafia di Palermo avevano dato parere negativo. Tutte quelle armi avrebbero dovuto costituire un campanello d’allarme a cui va aggiunto un altro particolare indicativo della personalità di Caruana. Durante un colloquio in carcere con una parente si era presentato con alcune scritte sugli avambracci. Erano indicazioni, secondo l’accusa, per fare sparire alcune cose, tra cui delle sim card di telefonini.

Gli investigatori non credono al ritratto di appassionato di armi. A cosa servivano le armi? A Favara si combatte una guerra di mafia. Il sangue arriva fino a Liegi. In ballo ci sono grossi traffici di droga lungo l’asse Sicilia-Belgio.

Il 24 maggio scorso Carmelo Nicotra, 35 anni, viene raggiunto da una pioggia di fuoco. I killer imbracciano i Kalashnikov. Nicotra scampa miracolosamente alla morte. Fa il panettiere, ma va spesso in Belgio. Secondo gli investigatori, Nicotra sarebbe legato al clan Di Stefano, noto con il soprannome “Furia”.

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Il 5 maggio, a Liegi, viene freddato il titolare della pizzeria “Il grande fratello”. Si chiamava Rino Sorce, aveva 51 anni ed era di Favara. Lo hanno assassinato davanti al locale poco dopo le 22.

II 26 ottobre 2016 Carmelo Ciffa, 42 anni, viene ucciso a colpi di pistola in corso Vittorio Veneto, a Favara. Originario di Porto Empedocle, ufficialmente si arrangiava facendo lavori saltuari. La mattina dell’agguato stava rimuovendo una palma secca. Nella sua fedina penale c’erano alcuni precedenti per droga ed era considerato vicino al clan Grassonelli.

Il 14 settembre 2016 un commando entra in azione ancora una volta a Liegi. Quattro colpi di pistola nel cuore della notte in un condominio del quartiere Outremeuse. La polizia belga trova il cadavere di Mario Jachelic, 28 anni, pure lui di Porto Empedocle. Assieme alla vittima c’è Maurizio Di Stefano, 41 anni, di Favara. È in fin di vita, ma se la caverà.

Il 16 febbraio 2015, a Naro, i killer uccidono Salvatore Terranova, commerciante di 58 anni, in piazza Francesco Crispi dopo che la vittima ha chiuso il suo negozio di casalinghi ed è salito in macchina per tornare a casa.

Il 27 gennaio 2015 diversi colpi di pistola raggiungono Carmelo Bellavia, 50 anni, già condannato per favoreggiamento. I sicari lo uccidono nel magazzino di via Fausto Coppi dove conserva le bibite. Era il padre di Calogero Bellavia, vivandiere di Gerlandino Messina, il capo della mafia agrigentina arrestato a Favara nel 2010.

Una lunga scia di sangue che non ha eguali. Una guerra di mafia combattuta con il piombo.

 

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27 Febbraio 2018, 15:56

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