Da Gela alla Germania | Il potere dei Rinzivillo

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04 Ottobre 2017, 14:29

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GELA (CALTANISSETTA) – Una “potenza di fuoco” con radici in mezza Italia e persino in Germania. I tentacoli di Cosa nostra gelese volevano allungarsi ancora, oltre la Sicilia. Roma e Milano le città dove infiltrarsi e stare al vertice. Protagonista indiscusso dell’operazione “Druzo” e “Extra fines” è Salvatore Rinzivillo, ritenuto capo della mafia di Gela. Era lui il nuovo reggente del clan, che aveva due anime: una mafiosa, l’altra imprenditoriale. Lo avevano disposto dal carcere i fratelli Antonio e Crocifisso Rinzivilllo dopo che, nel 2013, Salvatore era uscito dal carcere e da Roma era tornato in Sicilia.

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Un ruolo adatto a lui. Gli investigatori gli riconoscono “assoluto dinamismo criminale con la capacità di infiltrarsi nell’economia legale”. Stringeva affari con la mafia di Palermo e di Catania per la gestione della droga che viaggiava sull’asse italo-tedesco per finire in Capitale. Una mente raffinata. Tramite il suo “ambasciatore” Santo Valenti, che vantava la sua amicizia, riusciva a condizionare la gestione della fornitura nell’ambito del mercato ortofrutticolo dio Roma. Aveva mirato al ‘Cafè Veneto’ nella centralissima e storica via Veneto di Roma. Al suo proprietario Aldo Berti era riuscito a estorcere 180mila euro. Ma se da una parte la vittima denunciava i suoi estorsori, dall’altra si rivolgeva a Baldassare Ruvolo, capomafia di Palermo, prima collaboratore di giustizia e poi estromesso dal programma di protezione. Anche lui, volto noto alle forze dell’ordine, appartenente alla famiglia mafiosa dei Galatolo dell’Acqua Santa.

Nella banda altri tre suoi fedelissimi: Angelo Golino, pregiudicato romano che aveva il compito di consegnare i ‘pizzini’ minatori; Salvatore Iacona che compiva atti violenti e il gelese Rosario Cattuto. A quest’ultimo toccava il compito degli atti intimidatori e delle minacce verbali.

Nell’occhio del ciclone anche due carabinieri. Si tratta di Marco Lazzari e Cristiano Petroni. Gli infedeli militari accendendo alle Banche dati delle forze di Polizia trasmettevano informazioni riservate a Rinzivillo. 

L’affare del pesce. Salvatore Rinzivillo si era infiltrato nel mercato ittico siciliano, raggiungendo accordi anche con la mafia di Palermo, grazie ad imprese mafiose da lui controllate e riconducibili ai gelesi Carmelo e Angelo Giannone, rispettivamente padre e figli. La Mobile di Caltanissetta ha appurato una vera e propria spartizione territoriale del commercio del prodotto. Era arrivato anche a Mazara del Vallo dove costringeva alcuni imprenditori a fornire il pesce a credito piuttosto che col pagamento alla consegna. Per questa gestione aveva “scomodato” importanti pregiudicati di Messina e persino un boss italo-americano, Vincenzo De Vardo, soggetto noto alle forze di Polizia, sin dai tempi del maxi processo di Palermo, quale appartenente alla “famiglia mafiosa Bonanno, della fazione Catalano di Cosa nostra”.

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Rapporti anche con la famiglia di Francesco La Rocca, storico capomafia di San Michele di Ganzaria; appartenenti al clan dei “Carcagnusi” e con Sergio Giovanni Galdolfo, detenuto all’estero. Per quest’ultimo si adoperò perché venisse difeso dall’avvocato romano Giandomenico D’Ambra, che aveva iniziato a fare da tramite con i suoi familiari. Secondo gli inquirenti il legale “per conto di Salvatore Rinzivillo ha intessuto affari illeciti di interesse comune, ha incontrato altri affiliati del clan Rinzivillo in Lomabrdia, tra cui Rolando Parigi e Alfredo Salvatore Santangelo” e non avrebbe “esitato ad avvalersi dei ‘servizi'” del clan. In un episodio, ad esempio, fu dato mandato a Rosario Cattuto di aggredire un uomo per rubargli un orologio dal valore di 40 mila euro.

L’avvocato D’Ambra, secondo quanto emerso, inoltre, si preoccupava “di raccogliere notizie” da riportare a Salvatore Rinzivillo “sulle indagini in corso” servendosi anche dei due carabinieri infedeli. In particolare Marco Lazzari gestiva i contatti del boss Rinzivillo con un suo luogotenente Ivano Martorana, che si trovava in Germania per gestire il settore dello stupefacente e il boss gelese Nicola Gueli.

La cellula criminale si espandeva anche in Germania, a Colonia. Lì, nei land tedeschi di Baden-Wüttemberg e della RenaniaSettentrionale-Westfalia, Rinzivillo intratteneva rapporti con Ivano Martorana e lo zio Paolo Rosa per il traffico di droga grazie anche ai contatti con Antonio Strangio, noto gestore del ristorante “Da Bruno” a Duisburg, noto alle cronache per la strage avvenuta nel ferragosto del 2007. Con loro anche gli stiddari Angelo e Calogero Migliore e il pugliese Michele Laveneziana, al quale la polizia tedesca sequestrò armi nell’agosto di due anni fa.

Nell’ambito dell’operazione anche un sequestro di due compendi aziendali, di partecipazioni di tre società, denaro contante e un’autovettura di grossa cilindrata, per un ammontare complessivo di circa 11 milioni di euro. Tutti gli arrestati, a vario titolo, dovranno rispondere di associazione di stampo mafioso, plurimi episodi di estorsione e detenzione illegale di armi, riciclaggio e auto-riciclaggio, intestazione fittizia di società al fine di eludere la normativa antimafia in materia di misure di prevenzione patrimoniali e traffici di droga.

L’operazione, nell’ambito della quale sono 37 gli arrestati è stata eseguita in collaborazione dalle squadre mobili di Roma, Milano, Monza, Bergamo, Varese, Brescia, Piacenza, Novara, Sassari, L’Aquila, Palermo, Trapani, Ragusa e Catania; dai Comandi Provinciali della Guardia di Finanza di Roma, Palermo, Trapani, Catania, Agrigento, Caltanissetta, Enna, Siracusa, Ragusa, Milano, Novara, Sassari e del Reparto Operativo Aeronavale di Civitavecchia.

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04 Ottobre 2017, 14:29

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