PALERMO – L’ottavo deputato indagato, il settimo nel corso della nuova legislatura, e l’ombra del voto di scambio che si allunga pesantemente su Palazzo dei Normanni. L’inchiesta della Dda di Catania che ha portato ai domiciliari il parlamentare autonomista Pippo Gennuso è l’ultimo ciclone giudiziario abbattutosi su una Assemblea regionale con una vita tormentata fin dalla nascita datata pochi mesi fa. Il deputato nativo di Rosolini è il terzo di Sala d’Ercole a inciampare in una inchiesta su un presunto voto di scambio e così la questione morale torna a farsi spazio con prepotenza tra le mura del Parlamento più antico d’Europa, così come il sospetto che le elezioni regionali di novembre siano state fortemente condizionate da torbidi accordi tra politica e malavita. Cronache che si aggiungono a quelle già scritte e riguardanti altre ipotesi di reato: a conti fatti il tasso di indagati a Sala d’Ercole, quando sono appena trascorsi quattro mesi dall’insediamento, supera il 10%.
A Catania gli inquirenti non hanno dubbi: “Il clan di Avola ha pesato sul risultato elettorale di Gennuso”. Gli investigatori hanno individuato il prezzo del consenso: cinquanta euro a voto. A fare da ‘intermediari’ gli uomini del clan, che secondo gli investigatori avrebbero “messo a disposizione un budget di circa diecimila euro” in virtù di un “accordo” con il candidato poi rieletto per la quarta volta all’Ars. Gennuso è il secondo deputato finito sotto la lente d’ingrandimento della procura etnea: pochi giorni fa, infatti, è toccato a Luca Sammartino, il deputato più votato alle Regionali con oltre 32mila preferenze raccolte sotto l’insegna del Pd. Sammartino è finito nel registro degli indagati dopo il servizio di ‘Striscia La Notizia’ sul caso di un’anziana disabile che avrebbe votato per lui, insieme ad altri pazienti, nel seggio speciale allestito all’interno della casa di cura Villa Regina di Sant’Agata Li Battiati. “E’ un atto dovuto – ha commentato il deputato catanese – per consentire la mia partecipazione agli accertamenti tecnici svolti dalla Procura”. Sammartino ha ribadito “piena fiducia nell’operato della magistratura” sottolineando che le indagini “non potranno che consacrare l’inesistenza di illeciti” a suo carico.
Accuse tutte da verificare, così come quelle formulate dalla Procura di Palermo nei confronti di Edy Tamajo, recordman delle preferenze in provincia di Palermo e ritornato all’Ars per la seconda legislatura di seguito tra le file di Sicilia Futura. Su Tamajo, che ha ottenuto quasi 14mila voti di preferenza, pende un’inchiesta della guardia di finanza per un presunto giro di voti comprati: il prezzo, in questo caso, sarebbe stato di 25 euro a voto. “Non ho mai comprato voti – è stata la difesa del deputato -, ho costruito la mia carriera politica sull’attività quotidiana a favore della gente e della collettività”. Niente soldi, ma promesse di lavoro, invece, nell’inchiesta della procura di Termini Imerese sui fratelli Salvino e Mario Caputo. In questo caso il sospetto di una campagna elettorale inquinata colpisce due esponenti della Lega: in lista c’era Mario, fratello meno conosciuto rispetto a Salvino, che però non riuscì a centrare l’elezione a Sala d’Ercole. Ad aggravare la posizione dei fratelli Caputo l’ipotesi di un “inganno” ai danni dell’elettorato palermitano: il candidato era Mario ma in realtà, secondo gli inquirenti, gli elettori sarebbero stati portati a credere che la corsa riguardava il più famoso Salvino. “Non ho mai ingannato gli elettori”, si è difeso l’ex deputato regionale ed ex sindaco di Monreale che fu costretto a restare fuori dalla corsa per via di una condanna passata in giudicato per tentato abuso d’ufficio.
Il quadro è poi ‘impreziosito’ da altri nomi alle prese con inchieste che non riguardano le elezioni ma che alzano il tasso di indagati a Sala d’Ercole. La prima bomba giudiziaria scoppiò tre giorni dopo il voto del 5 novembre: epicentro del terremoto Messina con gli arresti domiciliari per Cateno De Luca, accusato di evasione fiscale. “Quell’arresto fu una pagina nera di ingiustizia”, commentò il parlamentare di Fiumedinisi dopo il ritorno in libertà. Pochi giorni dopo un altro ciclone giudiziario nato ancora una volta dalla Procura di Messina: questa volta tocca a Luigi Genovese, enfant prodige di una intera dinastia dedicata alla politica. Genovese junior, appena eletto all’Ars con 17.359 voti, finisce sotto inchiesta con l’accusa di riciclaggio: “Dimostrerò la regolarità della mia condotta”, il commento del giovane deputato. Nel calderone finisce anche un veterano dell’Ars come Riccardo Savona, sotto la lente d’ingrandimento della Procura di Palermo con l’ipotesi di truffa e appropriazione indebita. Il deputato, terzo degli eletti tra i forzisti di Palermo con 6.554 voti e giunto alla sua quinta legislatura, parlato di “una montatura fatta da un avvocato e altri soggetti” e si dice “assolutamente sereno”. L’elenco dei cicloni giudiziari vede coinvolto anche Tony Rizzotto, il primo storico deputato regionale dei leghisti di Matteo Salvini. Di certo c’è che i pm indagano sull’attività dell’ente di formazione Isfordd, per cui viene ipotizzato il reato di peculato. Rizzotto era rappresentante legale dell’ente fino all’estate scorsa: “Non so nulla, non sono più il presidente dell’ente”, le parole del neo deputato all’Ansa. La carrellata si chiude con Marianna Caronia, eletta con Forza Italia ma transitata al Misto, indagata nell’inchiesta sulla corruzione che ha coinvolto l’armatore Ettore Morace la scorsa estate.
Da Catania a Palermo, passando per Messina, tutte inchieste che gettano sale sulle ferite del Movimento cinque stelle arrivato secondo con Giancarlo Cancelleri nella corsa per Palazzo d’Orleans. Oggi il leader dei grillini siciliani, protagonista della polemica sugli ‘impresentabili’ nei giorni della campagna elettorale d’autunno, sbotta: “Genuso è un altro degli impresentabili di Musumeci, senza questi voti sporchi il centrodestra non avrebbe mai vinto”. Tesi rafforzata anche da un altro dei ‘colonnelli’ di Di Maio nell’Isola, l’eurodeputato Ignazio Corrao: “Le elezioni siciliane andrebbero annullate e ripetute – twitta -. È palese che il risultato è stato falsato in modo indecente”. Si accoda anche l’intero gruppo parlamentare M5s all’Ars: “La partita del voto delle Regionali è stata palesemente falsata – si legge in una nota -. I voti degli impresentabili hanno determinato la vittoria di Musumeci. Ora prenda una posizione netta, o passerà alla storia come il presidente eletto dagli impresentabili”. Si unisce al coro anche il neo deputato di LeU Erasmo Palazzotto, secondo cui Musumeci “non può continuare a fare finta di niente”. Con i grillini la polemica era nata in campagna elettorale infiammata anche da un video in cui Cancelleri elencava tutti i cosiddetti ‘impresentabili’ in lista negli altri schieramenti. Il leader M5s era stato comunque costretto a una parziale retromarcia e alle scuse per aver inserito alcuni nomi che in quel momento non erano stati sfiorati da indagini.
Erano i giorni degli arresti domiciliari del forzista Antonello Rizza, allora sindaco di Priolo e candidato all’Ars, con l’accusa di tentata truffa e turbativa d’asta. “Sono estraneo ai fatti”, replicò l’indagato dopo avere ottenuto la libertà. L’obiettivo Ars alla fine sfumò ma Rizza portò in dote a Forza Italia siracusana quasi cinquemila voti, circa settecento in più rispetto al fieno portato da Fabrizio La Gaipa nella cascina del Movimento cinque stelle. Il caso del candidato grillino finito sotto inchiesta per estorsione ai dipendenti del suo albergo. Il caso scoppiò pochi giorni dopo le Regionali: La Gaipa – che nel suo albergo ‘Costazzurra’ di Agrigento aveva ospitato Di Maio, Cancelleri e Alessandro Di Battista – restò comunque fuori da Sala d’Ercole e il Movimento prese subito le distanze (“non è un nostro rappresentante”) da colui che alla fine patteggiò una condanna a due anni con la condizionale. Poco più che una pagliuzza nell’occhio per i Cinquestelle, che oggi si dicono in credito rispetto al risultato di quel voto e che continuano ad aggiornare il pallottoliere degli indagati sul fronte avversario.
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