17 Ottobre 2017, 06:04
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PALERMO – All’arresto dell’ormai ex sindaco di Priolo Antonello Rizza, candidato alle Regionali con Forza Italia, si è aggiunta ieri la notizia dell’indagine per Eugenio Maione, in corsa sempre nel collegio di Siracusa, con i Popolari e autonomisti. Entrambi, quindi, accusati di concussione, a sostegno del candidato del centrodestra Nello Musumeci. Accuse che ovviamente devono essere sottoposte a un processo e che sono tutte da dimostrare. Ma che hanno già prodotto un effetto politico fortissimo, in questi giorni caldi in cui il tema delle “liste pulite” tiene banco, anche in seguito alla visita a Palermo della Commissione nazionale antimafia.
Musumeci e Micciché
Al di là delle prevedibili reazioni degli avversari politici alla notizia dell’arresto di Rizza, infatti, hanno fatto discutere le prese di posizione di chi si è assunto la responsabilità di creare la lista di Forza Italia a Siracusa e del candidato governatore a cui quella lista fa riferimento. Le posizioni sull’indagine di Gianfranco Micciché e Nello Musumeci sono infatti inconciliabili. In antitesi. Su questo tema, insomma, è come se parlassero “due centrodestra”. Il commissario regionale di Forza Italia, infatti, ha usato toni durissimi: “E’ proprio la magistratura – ha detto – a perdere credibilità quando interviene in piena campagna elettorale con un arresto o con indagini a carico di un candidato. Ho massimo rispetto – ha aggiunto – per la magistratura e per il suo ruolo ma occorre che la magistratura nutra altrettanto rispetto per i tempi della democrazia. Se un magistrato ha le carte per dimostrare la colpevolezza di qualche politico, non aspetti di sapere con quale simbolo o schieramento costui correrà. Contrariamente, – ha concluso – non ci si stupisca se continuerà ad allungarsi il triste elenco di casi di INgiustizia ad orologeria”.
Parole molto forti. Dalle quali ha subito preso le distanze proprio Musumeci che, pur non replicando direttamente a Micciché, ha usato concetti diametralmente opposti: “Sono i partiti, tutti i partiti, che debbono garantire candidati indiscutibili – ha detto – per questo mi sento di ribadire la mia vicinanza politica e istituzionale ai magistrati siciliani, specie a coloro che sono impegnati in indagini e processi di mafia e in procedimenti per reati contro la pubblica amministrazione che riguardano figure politiche di qualunque colore o schieramento. La magistratura – ha aggiunto – continuerà ad avere da me sempre, anche nell’eventuale ruolo di presidente della Regione Siciliana, sostegno e collaborazione, senza zone franche, senza se e senza ma”.
Le critiche in Forza Italia
Due posizioni inconciliabili. Nonostante siano espresse da due leader della stessa coalizione. Se è vero, infatti, che la lista coinvolta è quella di Forza Italia, è anche vero che sul simbolo azzurro campeggia il nome dello stesso Musumeci. Ma le parole del candidato governatore e quelle del big berlusconiano sembrano gli estremi di un discorso sulla giustizia che attraversa tutto il centrodestra. Non senza “frizioni”, distinguo, sfumature. È il caso ad esempio di Marco Falcone, capogruppo di Forza Italia all’Ars che pochi minuti dopo l’uscita di Micciché diramava un comunicato stampa che sembrava andare in una direzione se non opposta, comunque assai diversa: “Dinanzi alla gravità dei fatti che sono successi a Siracusa – ha detto infatti – la serietà di un partito impone il pieno rispetto, oltre che fiducia, nelle istituzioni, ad iniziare dalla magistratura. Disquisire sulla tempistica, ancorché legittimo, rischia di apparire una inutile e inopportuna contrapposizione con chi svolge il proprio lavoro a prescindere dalle dinamiche elettorali. In più occasioni avevamo chiesto attenzione e prudenza nella formazione delle liste. Le forzature o gli inserimenti dell’ultimo momento, solo nell’idea di potere acquisire un patrimonio elettorale – ha concluso – dimostrano tutta la loro fragilità”. Falcone ha poi chiesto ai tutti i partiti, a iniziare da Forza Italia, di evitare a Musumeci “imbarazzi” a causa di “inopportune esternazioni o con ingerenze dal sapore di vecchia politica che non sono più giustificabili”. Insomma, parole che sembrano opporsi chiaramente a quelle di Micciché. Ma cosa ne pensano gli altri?
Di Mauro: “Evitare i nomi scomodi”
Come detto, le reazioni sul tema “liste pulite” sono tante e diverse. Al nome di Rizza, nel frattempo, seppur in qualità di indagato si è aggiunto quello di Maione, candidato con la lista dei Popolari e autonomisti. “Non conosco i fatti – dice Roberto Di Mauro, capogruppo all’Ars dell’Mpa, uno dei pilastri della lista – posso solo dire che abbiamo fatto il possibile perché sui candidati non ci fosse alcuna ombra. Lo stesso Rizza ci aveva fatto sapere – ha aggiunto – che avrebbe voluto candidarsi con noi e abbiamo detto di no. Di sicuro non penso possa esistere una giustizia a orologeria. Semmai la politica potrebbe evitare di creare le condizioni perché sia la magistratura a intervenire nel pieno di una campagna elettorale, non candidando chi ha una spada di Damocle sul capo”. Insomma, il punto è questo: “Adesso – fa notare Di Mauro – la lista di Forza Italia è azzoppata. È colpa della magistratura – chiede – o si poteva farne a meno? Non è un attacco a Micciché, per carità, ma certamente a quel partito non mancavano i nomi da schierare. Ed è inutile prendersela con i magistrati: fanno un altro mestiere e non dimentichiamo che siamo sempre sotto elezioni: tra quattro mesi ad esempio ci saranno le Politiche”. E Di Mauro ricorda in questo senso un fatto personale: “Molti anni fa fui indagato – racconta – per un ‘concorso morale in abuso d’ufficio’. Fui anche condannato in primo grado, poi assolto in appello e in Cassazione. Nel frattempo, per circa dieci anni mi sono tenuto lontano dalla politica”.
Popolari garantisi, inflessibili salviniani
Afferma di nutrire fiducia nella magistratura anche il leader del Cantiere popolare Saverio Romano. Anche il suo partito compone la lista dei Popolari autonomisti raggiunta, nel caso di Maimone, da una indagine. “I nostri candidati – precisa Romano – sono tutti candidabili secondo il ‘codice Bindi’. Va però detta una cosa: una volta l’indagine era una garanzia per l’indagato stesso, oggi invece rischia di essere l’elemento in grado di produrre un effetto: quello di fare in modo che le liste siano il frutto non della politica, ma di mondi estranei alla politica. E io ritengo – conclude – che debba sempre essere la politica ad assumersi la responsabilità dei nomi da candidare”. Una responsabilità rivendicata anche dal salviniano Angelo Attaguile, anche se con toni diversi da quelli di Romano: “La politica – dice – deve dare un segnale vero di svolta, evitando di presentare in lista personaggi che, al di là delle indagini, possa rappresentare certi ambienti. Non a caso, ‘Noi con Salvini’ ha messo fuori dalle liste anche gente con qualche contravvenzione. Il fatto che poi la magistratura intervenga sotto elezioni – conclude – a noi non deve interessare. Non può interessare”. Il senso del centrodestra per la giustizia ha molte sfumature.
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