Ars e governo passano la nottata | Ma dove sono finite le riforme?

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17 Febbraio 2019, 06:04

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La nottata è passata. Anche se il nuovo giorno è denso di nubi. Approvata la Finanziaria con l’escamotage che ha permesso di scongiurare, apparentemente, i tagli a tante categorie in sofferenza, ora restano i dubbi. E un futuro complicato. La manovra, infatti, ha messo un po’ di pezze, qua e là, nella speranza che Roma conceda alla Sicilia la rateizzazione – e quindi i soldi per quei lavoratori – ma adesso per il governo Musumeci si apre necessariamente un’altra fase. Adesso dovrà necessariamente fare qualcosa di più.

Dove sono le riforme?

E quel “di più” sono le leggi, cioè le riforme. Che sono sparite dai radar del governo regionale, sdraiato sull’alibi dei numeri in Aula. Ma i numeri, poco dopo l’elezione, mancavano anche al governo precedente, prima del “soccorso” dei tanti deputati pronti a saltare il fosso, così come potrebbe accadere anche tra qualche settimana. Ma intanto, le riforme, anche quelle annunciate dal governo, sono scomparse dall’agenda politica.

Che fine ha fatto la chiusura dell’Esa? Su questa questione Musumeci aveva persino avvisato la “partitocrazia” che si “annida” a Sala d’Ercole. O si chiude l’Esa, o si va tutti a casa. Lo spettro dimissioni agitato anche nelle ultime ore, di fronte ai franchi tiratori. Ma l’Esa, intanto, non è stato chiuso. Anzi, la chiusura dell’ente nel frattempo è sparita da ogni legge finanziaria: niente nella vecchia legge di stabilità, nulla nell’assestamento autunnale, niente nella nuova Finanziaria, niente di niente nei ben quattro collegati che l’accompagnano. Ovviamente, a casa non è andato nessuno. E nessuno ovviamente ci credeva. Ma a questo punto è lecito chiedersi se quella partitocrazia contro cui puntava il dito il governatore abbia vinto, alla fine. Il sospetto, alla luce di quanto è successo in Aula anche durante l’esame della manovra, è forte.

Prendi, a proposito, l’altra riforma svanita nelle lente giornate di questa legislatura. L’Agenzia per la casa avrebbe dovuto inglobare i tanti Iacp di Sicilia. Doveva mettere ordine, finalmente. E fare sparire un po’ di poltrone. Ma in questo caso gli Iacp non solo sono tutti lì, ma adesso un assessore del governo e un esponente di spicco della maggioranza sono anche indagati per le nomine al vertice di uno di questi. E ancora, nella manovra, invece che la norma per accorparli, ecco saltare fuori un articolo che aumenterà gli stipendi dei dipendenti. La partitocrazia ha vinto anche lì? Basterebbe leggere i nomi scelti in un primo momento dal governo per guidare quegli enti: quasi tutti uomini (e donne) di partito, appunto. L’Agenzia unica? Svanita anche questa, quindi. Mentre altre riforme continuano a prendere polvere nei cassetti dell’Assemblea regionale: legge sul diritto allo studio, legge sui rifiuti, legge sulla semplificazione amministrativa. Tutto fermo. E non basta, per dare l’idea di una Regione che è ripartita, diffondere le notizie di un costone sistemato, di un muretto di contenimento tirato su, di una ludoteca creata in questo o quel paese di provincia. Tutte cose buone e giuste. Tutte cose sacrosante che vanno fatte. Ma che rappresentano l’ordinarietà di un governo che non può accontentarsi di una diligente attività amministrativa. Così facendo, questa terra non diventerà “bellissima”, ma al massimo “carina”.

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Non c’è un’idea, o almeno se c’è non si vede, ad esempio sulle società regionali. Cosa si vuole fare di Sicilia digitale? E cosa di Riscossione Sicilia, al di là dell’ennesima proroga che apre a fumose prospettive di nuovi enti? E cosa ancora di Sas, oltre ad avallare qualche assunzione? Al momento, l’unico filo rosso che lega queste maxi-aziende, tra le più importanti di Sicilia, sono le dimissioni o i valzer di nomine.

Ma questa terra attende un cambio di marcia vero. E adesso è il momento. Sono passati 14 mesi dall’arrivo del nuovo governo. Cioè poco meno di un quarto della legislatura è già andato. E adesso la storia dell’eredità del passato regge fino a un certo punto. Questo giornale non ha certamente lesinato critiche a un governo, quello di Crocetta, che ha prodotto diversi nuovi problemi e ha peggiorato molti di quelli esistenti. Ma è il momento di cambiare disco. O almeno di essere sinceri fino in fondo. Se il governo Crocetta ha fatto danni, quelli precedenti non avevano certamente trasformato la Sicilia in un Eden. Anzi. E il punto è proprio questo: questa legislatura finora appare anche caratterizzata da un abbozzo di restaurazione che è nei nomi: non solo nella giunta, ma anche nel sottogoverno dove sono stati scelti in qualche caso uomini di quel passato che non ha fatto bene ai siciliani.

Nomine. Tante, in questo anno. A cui si aggiungeranno, pare, quelle di qualche nuovo assessore. Di qualche faccia nuova che dovrebbe dare nuovo slancio all’esecutivo. E’ il rimpasto che andrà perfezionato prima delle Europee. Perché? A cosa servirà? Alla campagna elettorale di qualche notabile? Perché il governatore che aveva deciso di “stoppare” le nomine nelle aziende regionali sotto le elezioni politiche è pronto a cambiare addirittura pezzi del governo in vista di quelle per il parlamento europeo?

Tra l’altro, le prime indiscrezioni sembrano confermare la linea del ritorno all’era Lombardo-cuffariana. E anche, almeno nei numeri, a quella più recente di Crocetta. Che cambiò, nei primi mesi, due assessori. Così come ha fatto Musumeci. Per Crocetta si trattò delle due “vedette” Zichichi e Battiato, per Musumeci l’altro “vip” cioè Sgarbi, oltre al dimissionario Figuccia. E le corrispondenze non si fermano qui. Il primo rimpasto di Crocetta arrivò a 17-18 mesi dall’elezione. Quello di Musumeci arriverà “prima delle Europee”. E saranno 15-16 mesi di governo. Quando il numero complessivo degli assessori nominati supererà i 15, per avvicinarsi ai 20 nomi. In piena “media-Crocetta” che nominò cinquanta assessori in una legislatura che non deve, che non può ripetersi.

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17 Febbraio 2019, 06:04

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