19 Settembre 2017, 07:25
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PALERMO – “L’Assemblea non è in numero legale”. Lo ha ribadito anche nel corso dell’ultima seduta, lo scorso 6 settembre, il presidente Giovanni Ardizzone. Quasi arrendendosi di fronte alle cattive abitudini dei colleghi. In quel momento, Sala d’Ercole si accingeva a votare la legge di riforma del Consorzio autostrade siciliane. Ma il sistema elettronico raccoglierà un dato sconfortante: su 90 deputati, i presenti erano solo… 15.
Ma non è stata la prima volta, quella. Anzi, dall’approvazione dell’ultima finanziaria, a fine aprile, si è assistito a una specie di “liberi tutti”. A giugno, ad esempio, lo stesso Ardizzone ha dovuto lanciare “un appello al senso di responsabilità per assicurare la presenza in Aula dei deputati”. E ancora, a fine luglio, quando il cosiddetto “collegato” alla Finanziaria era ancora in alto mare, il nuovo sfogo del presidente dell’Ars: “Non possiamo continuare con questo clima. Siamo ostaggio degli assenti”. La mancanza di numero legale, insomma, è stata l’unica certezza di questo triste tramonto di legislatura.
Un’ora e mezzo di lavoro a settimana
Da un lato le elezioni amministrative di Palermo, dall’altro l’avvio della campagna elettorale per le Regionali, hanno finito infatti per svuotare un’Assemblea che non aveva certamente brillato né per prolificità, né per impegno tra gli scranni. Quasi imbarazzante, quest’ultimo dato. Da giugno a settembre l’Ars si è infatti riunita appena 18 volte. In pratica, una volta a settimana. Poco di più se consideriamo le ferie estive. Ma come detto, molte sedute hanno finito per infrangersi contro l’assenza del numero legale. Che ha fermato il conteggio dei disegni di legge trasformati in legge nell’anno in corso, poco al di sopra della decina (al 30 giugno erano appena otto). Ed è difficile pensare che si potesse fare di più e meglio, considerate le ore trascorse tra gli scranni di Sala d’Ercole.
L’ultima seduta, quella in cui uno sconsolato Ardizzone ha preso atto delle solite assenze di massa, si è aperta e chiusa nell’arco di 12 minuti. E il lavoro complessivo in quella Sala che ormai quasi sarcasticamente mantiene il riferimento alle “fatiche” di Ercole, è stato, per i mesi che vanno da maggio (approvazione ultima Finanziaria) a settembre, di 32 ore in tutto. In pratica, si è lavorato poco più di sei ore e mezza al mese. Poco più di un’ora e mezza alla settimana.
Poche leggi, tante impugnative
Nonostante ciò, il presidente dell’Ars Ardizzone, in occasione dell’ultima “cerimonia del ventaglio” che chiude ogni anno la sessione estiva, ha rivendicato una prolificità pari almeno a quella – già assai modesta, a dire il vero – della scorsa legislatura. Sono 109 le leggi approvate in cinque anni. E anche qui, il trend è chiaro: 79 di queste sono state approvate tra il 2013 e il 2015. Solo una trentina tra il 2016 e il giugno del 2017. Ma il numero, già di suo non sconvolgente (furono 108 nella legislatura precedente), non rende l’idea delle difficoltà legislative dell’Ars. Alcune di quelle leggi, infatti, altro non sono che la riproposizione di altri disegni di legge in qualche modo cassati. O volontariamente rimessi nel cassetto. Il balletto sulle ex Province, sul sistema dei rifiuti, sul sistema idrico, ad esempio, hanno prodotto più leggi che andavano a sovrascrivere o abrogare quelle precedentemente approvate. Senza contare la marea di articoli riscritti dopo la verifica sulla loro costituzionalità.
E anche qui, i dati sono interessanti. Tra delibere legislative e leggi, sono stati impugnati infatti il 20,9 per cento dei provvedimenti esitati dall’Ars: uno su cinque, insomma (numero che ha n peso ancora maggiore, se si considera che la norma approvata dopo l’impugnativa, rispondendo a quei rilievi, difficilmente verrebbe mai ri-impugnata). E se con Commissario dello Stato, che fino al novembre del 2014 esercitava il controllo preventivo sulle leggi, sono state cassate la bellezza di 93 articoli sui 474 approvati nella prima parte di legislatura (quasi il 20 per cento), la musica è cambiata col passaggio del controllo, successivo, alla Presidenza del consiglio dei ministri. Quando a decidere sulle leggi esitate da un parlamento la cui maggioranza sosteneva un governo regionale del Pd è stato il governo nazionale del Pd, sono state impugnate appena il 5,57 per cento degli articoli stessi.
ll valzer dei cambiacasacca
E al caos delle leggi da scrivere e riscrivere, nella necessità di tornare a mettere mano alla materia magari con manovre finanziarie di assestamento, ecco il valzer delle casacche. Delle fazioni. Dei voltagabbana eletti a sostegno di un presidente e finiti a sostenerne un altro. O ancora, ecco i deputati che hanno cambiato partito, pur rimanendo all’interno della stessa maggioranza. Tra i primi, se ne trovano diversi, anche grazie all’escalation di questi giorni in cui diversi parlamentari, completando un giro a 360 gradi attorno a Sala d’Ercole, hanno finito in molti casi per sostenere un candidato che era stato il loro avversario cinque anni fa.
È il caso di Mimmo Turano, Orazio Ragusa, Gaetano Cani e Totò Lentini, tutti ex Centristi, che sostennero la candidatura di Crocetta e che oggi sono al fianco di Nello Musumeci. O quello di Michele Cimino eletto con Gianfranco Micciché e oggi a sostegno di Micari. C’è poi il caso degli alfaniani Nino D’Asero, Vincenzo Vinciullo ed Enzo Fontana eletti con Musumeci e oggi contro di lui sempre a sostegno del rettore nella coalizione di centrosinistra, così come Paolo Ruggirello che con la “Lista Musumeci” è stato eletto all’Ars prima di approdare nel Pd tramite Articolo 1. Più o meno lo stesso percorso compiuto da Valeria Sudano eletta con “Cantiere popolare” di Saverio Romano, cinque anni fa al fianco di Musumeci, e oggi rampante deputato del Pd catanese. Hanno trovato casa in “Sicilia Futura” di Cardinale e sostengono Micari, oggi, Edy Tamajo, Totò Cascio e Salvo Lo Giudice: il primo eletto con Grande Sud di Micciché, il secondo col Cantiere popolare al fianco dell’attuale candidato del centrodestra, il terzo con la Lista Musumeci. Viaggio contromano quello di Franco Rinaldi, eletto col Pd e finito dentro Forza Italia.
E non solo. Ci sono anche i casi di spostamenti tutti interni alla sinistra, come quello di Mariella Maggio che ha sostenuto la candidatura di Crocetta (addirittura è stata eletta nel suo listino) e che oggi corre da un’altra parte rispetto al governatore, cioè al fianco di Claudio Fava. E nemmeno il Movimento cinque stelle, in questa legislatura, è stato immune dal virus dei voltagabbana: è andato via presto, Antonio Venturino, sposando la causa socialista che oggi trova spazio nelle coalizione di Micari. Solo esempi, questi. Di un fenomeno più ampio di quello descritto. Tra i novanta deputati, infatti, sono solo 47 quelli che hanno rispettato il mandato dei cittadini. Quelli, cioè, eletti con un partito e rimasti lì per cinque anni. In pratica, uno su due ha cambiato casacca almeno una volta.
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19 Settembre 2017, 07:25