15 Gennaio 2018, 18:41
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CATANIA – Pizzo e rapine per far arricchire le casse di Cosa nostra. Il blitz “Capolinea” della Guardia di Finanza permise nel 2015 di fotografare la mappa delle estorsioni del gruppo santapaoliano della Stazione che avrebbe avuto come reggente Benedetto Zucchero, fratello dello storico boss Pippo Zucchero. Oggi è arrivata la sentenza della Terza Corte d’Appello che ha quasi in toto confermato il verdetto del Gup Alessandro Ricciardolo. Confermate le condanne per i due vertici del gruppo mafioso: Benedetto Zucchero e Cristofaro Romano, genero dell’anziano boss Pippo. Per i due la pena da scontare è di 9 anni e 4 mesi. Condanna confermata anche le nuove leve del gruppo dei Santapaola: Francesco Condorelli, 7 anni e 3 mila euro di multa, e Salvatore Maugeri, 5 anni e 1800 euro di multa. Assolto Pietro Francesco Ferrari, difeso dagli avvocati Enzo Trantino e Salvo Pace. Completano il collegio difensivo gli avvocati Maria Catena Marano, Francesco Sanfilippo e Pino Ragazzo. Anche la Pg Sabrina Gambino al termine della requisitoria aveva chiesto alla Corte d’Appello l’assoluzione per Ferrari e la conferma della sentenza di condanna per gli altri imputati.
L’INCHIESTA E LA MAPPA DEL PIZZO. L’indagine della Guardia di Finanza ha permesso di cristallizzare una vera e propria mappa delle attività commerciali sottoposte ad estorsione. Tutti negozi e locali del centro. Chi non si piegava al volere dei boss della Stazione erano destinatari di veri e propri pizzini con minacce esplicite. E dove si poteva evincere chiaramente che i soldi sarebbero andati a finire alla famiglia Santapaola- Ercolano. Il 25 novembre del 2015 scatta il blitz delle forze dell’ordine che smantellano il gruppo criminale che nei vari anni è stato più volte colpito da diverse retate sempre della Guardia di Finanza di Catania. Benedetto Zucchero aveva appena ereditato il ruolo di reggente e stava riorganizzando gli affari illeciti. L’inchiesta della Dda permette di ricostruire anche la “pianta organica” del gruppo della Stazione: con diverse squadre operative specializzate in rapine ed estorsioni. I soldi finivano nelle tasche di Zucchero che una parte li versava nella cassa comune e l’altra parte la utilizzava per gli stipendi dei soldati e anche per il mantenimento delle famiglie dei detenuti. A blindare l’inchiesta anche le rivelazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Amore, condannato in primo grado a 6 anni e 8 mesi di carcere e 6 mila euro di multa.
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15 Gennaio 2018, 18:41