23 Marzo 2016, 12:01
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Gentile direttore,
Dopo Parigi, Beirut, Bamako, Ouagadougou, Grand Bassam, Instanbul e Tunisi adesso è il turno di Bruxelles. Proprio la capitale belga e cuore dell’Europa viene segnata da due terribili esplosioni che hanno causato la morte di decine di persone e la paura di milioni di europei scossi da immagini che hanno già visto, ma alle quali non vogliono e non possono abituarsi.
Bruxelles è una importante capitale europea, ultima di una serie di grandi città del mondo nelle quali sono stati piantate altre croci. Sentiamo ancora la sofferenza delle vedove e degli orfani, sentiamo il gemito di sofferenza dei feriti. Sembra proprio che stiamo camminando verso un venerdì santo.
Bruxelles ultima città nella quale viene piantata la croce del terrorismo e della violenza, sulla quale soffia forte il vento della divisione e la paura attraversa tale scena, come fosse la rappresentazione della passione e morte di Gesù inscenata in qualche piccolo centro della Sicilia.
Una di queste rappresentazioni è stata fatta proprio domenica sera a Mineo, piccolo borgo attraversato da storia e usanze, ricco di arance e “vanedde”, di polemiche e inchieste, ma anche di tanta brava gente che ha accolto me e tutti, anche i migranti ospiti di quel residence delle arance posto a valle, meglio noto come C.A.R.A. di Mineo.
Ma che c’entra la piccola Mineo con un’importante capitale come Bruxelles? C’entra molto. Lunedì, giorno che ha preceduto gli attentati, ho visto tanti giovani migranti cristiani riuniti per pregare, li ho visti agitare i rami di ulivo e consegnarli agli oltre mille ospiti musulmani del centro di accoglienza per costruire quella pace che l’Europa ha paura di perdere.
Sembra un paradosso: coloro che vengono imputati di essere la minaccia alla nostra serenità sono coloro che agitano i rami di ulivo e creano forme di convivenza e di dialogo interreligioso. Non voglio semplificare, ma i migranti in Sicilia, quelli che attendono di sapere se sono accolti, fanno questo. E questo è un fatto esattamente come lo è la morte di troppi a Bruxelles.
Allora penso fortemente che bisogna condannare gli attentati, ma rimango sempre più convinto che il problema sia l’assenza di fatti unitivi, di dialogo e tolleranza, di cultura del convivere. In fondo il gioco ovvero la politica del terrore è proprio rivolta a moltiplicare i sentimenti di paura che dividono le società, ad avvelenare il dialogo civile con parole ed atteggiamenti violenti, a convincerci che la piazza è una dimensione pericolosa e che sia meglio stare a casa propria, sperando che non bussi nessuno.
Io oggi voglio ricordarmi che noi siamo quelli che hanno riempito le piazze insieme a tanti dopo i fatti di Parigi del 13 novembre 2015, quelli che hanno pianto e pregato con i musulmani, quelli che continuano a correre vicino al mare per accogliere uomini e donne in cerca di pace. Non facciamoci ingannare dall’agire del violento attentatore, ricordiamoci chi siamo, cosa abbiamo fatto tutti con coraggio. Nessuno di noi viva i fatti di Bruxelles come un venerdì santo senza ricordare che la resurrezione è vicina, ed è vicina per tutti.
Per ora imitiamo chi ha consegnato un ramoscello di ulivo come segno di pace a chi cerca serenità in un tempo difficile.
Emiliano Abramo
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23 Marzo 2016, 12:01