“C’è l’ordine del ‘fratellone’| Di Matteo deve morire”

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16 Dicembre 2014, 10:38

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PALERMO – Le indiscrezioni lasciano spazio ai verbali. Verbali in cui Vito Galatolo, boss dell’Acquasanta, nella veste di dichiarante, racconta ai magistrati di Palermo e Caltanissetta, passaggio dopo passaggio, le fase preparatorie dell’attentato in cui doveva essere ucciso il pubblico ministero Antonino Di Matteo. Ora ne conosciamo il contenuto perché le sue dichiarazioni sono confluite nel fermo di Vincenzo Graziano eseguito all’alba dagli uomini del Nucleo speciale di Polizia valutaria, coordinati dal colonnello Calogero Scibetta e dal colonnello Claudio Petrozziello, e dai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria, agli ordini del colonnello Francesco Mazzotta e del tenente colonnello Giuseppe Coppola. A loro spetta verificare la ricostruzione del resoconto di Galatolo. A cominciare dalla presenza del tritolo, di cui finora non è stata trovata traccia, da utilizzare per l’attentato.

Il primo input arriva il 13 settembre 2012: “Posso riferire che, appena scarcerato, mi venne imposto l’obbligo di presentazione al commissariato di San Lorenzo a Palermo. Durante questi trasferimenti per raccordarmi con i miei familiari, mio padre mi riferì che Vincenzo Graziano, sottocapo della famiglia dell’Acquasanta, mi doveva parlare. In occasione di questo incontro mi disse che Girolamo Biondino voleva organizzare un incontro urgente”. Nei mesi precedenti le microspie, dicono oggi gli investigatori, avevano captato la continua ricerca di denaro. Tra i più attivi c’era proprio Vincenzo Graziano.

Lo step successivo è dell’8 dicembre dello stesso anni, quando nell’abitazione di Galatolo, nel rione Marinella, si sarebbe fatto vivo Alessandro D’Ambrogio, capomafia di Porta Nuova: “In quella occasione mi disse, ma Ciresi (Nino Ciresi ndr) rimase fuori di casa con mio suocero, che bisognava fare una riunione con Biondino nella quale si doveva affrontare l’argomento dell’attentato nei confronti del dottore Di Matteo voluto dal ‘fratellone’ e cioè da Matteo Messina Denaro”.

E si entra nella fase operativa: “Ci siamo dati appuntamento per la mattina del giorno seguente al porticciolo dell’Acquasanta da dove poi avremmo raggiunto gli altri alla gelateria ‘Al tuo gelato’ alla Marinella… ho atteso l’arrivo del D’Ambrogio al porticciolo ove giunsi accompagnato da Santo Graziano. Sopraggiunse Nino Ciresi, il quale mi disse che D’Ambrogio era in ritardo. Dopo aver atteso un po’, mi avviai poiché non volevo far aspettare gli altri e nel frattempo arrivò anche Alessandro D’Ambrogio a bordo di una Smart, se mal non ricordo, guidata da altro soggetto che ora non ricordo chi fosse… mi accorsi della presenza di auto delle polizia in zona, sicché, feci cenno sia al D’Ambrogio che al Biondino di allontanarsi… Io poi assieme a Santo Graziano tornai a casa mia a vicolo Pipitone, sempre seguito da una vettura della polizia in borghese”.

Il vertice viene fissato al pomeriggio: “Attorno alle ore 17.30-18.00, ricordo che pioveva, venne a casa mia Nino Ciresi che mi diede appuntamento, dopo mezz’ora, a Corso Tukory, ove andai accompagnato o da mio suocero o da Santo Graziano. Lì mi venne a prendere Onofrio Lipari, detto Tonino, uomo d’onore della famiglia di Palermo centro, e ci recammo al quartiere Ballarò ove salimmo in un appartamento sito all’ultimo piano. Lì c’era Alessandro D’Ambrogio, che era quello che aveva la disponibilità dell’appartamento, Masino Contino capofamiglia di Partanna Mondello, Silvio Guerrera, capofamiglia di Cardillo e successivamente ci raggiunse Girolamo Biondino. Ricordo che vi era anche Vincenzo Graziano”.

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Quel giorno su Palermo si abbatte un violento temporale che impedisce agli investigatori di stare sulle tracce dei mafiosi pedinati. C’è, però, un dato certo: una delle macchine viene localizzata la via Michele del Giudice, ad angolo con via Albergheria, dove rimane parcheggiata fino 19.29. Ed è nel corso dell’incontro che salta fuori la seconda missiva scritta dal padrino di Castelvetrano: “Il Biondino, riprendendo la lettera che gli fu inviata da Matteo Messina Denaro, disse che bisognava fare un attentato al dottore Di Matteo”. I boss palermitani si mettono a disposizione: “In occasione della stessa riunione nei pressi di corso Tukory, decidemmo di dare una risposta affermativa a Messina Denaro e decidemmo anche, vista l’impossibilità di quest’ultimo ad approntare il denaro necessario, di esporci economicamente per la preparazione e dell’attentato. In particolare io mi impegnai con 360.000 euro mentre le famiglie di Palermo Centro e San Lorenzo, si impegnarono per 70.000 euro. L’esplosivo sarebbe stato acquistato in Calabria da uomini che avevano della cave nella loro disponibilità e trasferito a Palermo”.

E l’esplosivo arriva a Palermo: “Dopo seppi che Biondino definì l’acquisto dalla Calabria di 200 kg di tritolo e, una volta arrivato a Palermo dopo circa 2 mesi dopo la riunione, fu affidato a Vincenzo Graziano. L’esplosivo, che io vidi personalmente in occasione di una mia presenza a Palermo per dei processi, era conservato in dei locali all’Arenella nella disponibilità di Graziano Vincenzo ed era contenuto in un fusto di lamiera e in un grande contenitore di plastica dura. Sopra questi bidoni vi era uno scatolo di cartone con all’interno un dispositivo in metallo della grandezza poco più piccola di un panetto”. In un successivo interrogatorio preciserà che il tritolo fu nascosto “in un appartamento dell’Arenella, di mia proprietà ma intestato alla società di Graziano Camillo, figlio di Domenico”.

Galatolo ricorda tutto con dovizia di particolari: “All’interno era composto da tanti panetti di colore marrone avvolti da pezze di tessuto. Ricordo inoltre che all’esterno, la parte bassa del contenitore di plastica blu era umida e con tracce di salsedine. Per tale motivo infatti Graziano mi disse che questo contenitore umido doveva essere sostituito. So che l’esplosivo è stato spostato da Graziano e penso che sia custodito in una sua abitazione con del terreno intorno in località Monreale”.

Il rischio attentato, secondo il neo dichiarante, sarebbe ancora attuale: “L’intento di organizzare l’attentato non è mai stato messo da parte; una volta ne parlai con Graziano Vincenzo all’interno del Tribunale ed avevamo pensato di posizionare un furgone nei pressi del Palazzo di Giustizia ma non ritenemmo di procedere perché ci sarebbero state molte vittime. Pensammo anche, data la disponibilità della famiglia mafiosa di Bagheria, di valutare se procedere in località Santa Flavia, luogo dove spesso il dottore Di Matteo trascorre le vacanze estive… la presenza di tritolo sul territorio palermitano rende ancora attuale, a mio avviso, il pericolo dell’attentato nei confronti del dottore Di Matteo”. Ecco perché al pubblico ministero di Palermo è stata rafforzata la scorta fino ad un livello mai visto prima.

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